Al Festival di Spoleto la rivoluzione positiva delle donne

SPOLETO – La sessantaduesima edizione del 2Mondi si avvicina a grandi passi. Le iniziative e le performance inizieranno il 28 giugno per concludersi il 14 luglio e non mancheranno appuntamenti dedicati al dialogo tra culture e all’empowerment femminile. È in questa dimensione che abbiamo incontrato Paola Melograni Severini, giornalista e creatrice del progetto “Dialoghi a Spoleto” che da tre anni si svolge a Palazzo Leti Sansi e che sono pensati per e con le donne.

Paola Severini Melograni

“Gli indicatori sociali ci dicono tutti quanti che dove le donne sono al comando la società cambia in meglio. Lo stesso Menotti è un uomo che vive in quanto ha avuto una madre che ha combattuto per lui e che ha fatto una scelta di sostenere la cultura attraverso un’altra donna che era Wally Toscanini e, poiché io mi occupo pure del Comitato Internazionale ‘Viva Toscanini’, ho conosciuto tanti anni fa Menotti… l’ultimo allievo di Toscanini“.  Così la Melograni Severini ci introduce nella sua idea che, quest’anno, in quattro incontri vedrà confrontarsi e dialogare donne che altrimenti, in situazioni di pratica quotidiana, non ne avrebbero le opportunità.

La rassegna, che vede il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri, della Rai, della Fondazione Marisa Bellisario e di Valore D, si aprirà il 29 giugno con un incontro ispirato al rapporto madre-figlia dal titolo Le donne salveranno il mondo”, si proseguirà domenica 30 giugno con “Le donne finanzieranno il mondo” e si daranno i numeri sapientemente affidati alla giornalista e statistica Linda Laura Sabbadini che interverrà per il Comitato Scientifico, domenica 7 luglio sarà l’occasione delle donne che salveranno il mondo, per concludere il ciclo con uno degli stereotipi per eccellenza, venerdì 12 luglio si parlerà di donne nel calcio (info in più: http://www.dialoghiaspoleto.it/).
La motivazione di questi dialoghi risiede nelle parole della sua creatrice che alla domanda sul perché abbia dato sempre così tanta importanza alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica, risponde:”  Mi sono resa conto che la percezione è un qualcosa di importantissimo. La percezione cambia l’atteggiamento, quindi cambia l’economia, quindi cambia la politica”.
Seguendo i suoi lavori e il suo impegno civile è chiaro il suo interesse e la sua vocazione per la comunicazione sociale e per l’(in)formazione sulle disabilità. Com’è stato negli anni Ottanta essere una delle pioniere in Italia di questa materia?
“Negli anni Ottanta era una bellissima rivoluzione perché eravamo appena reduci dal ’77 [che] per il mondo dei diritti ha avuto un peso specifico più grande di quella che è stata la rivoluzione dei rapporti nel 1968, dei rapporti tra potere e popolo, dei rapporti tra docenti e studenti, dei rapporti tra politica e partecipazione. Noi sappiamo che il ’68 è stato un cambio epocale, ma i veri frutti del ’68 si sono visti negli anni Settanta, in particolar modo nel 1977 quando arrivano le cosiddette ‘leggi di civiltà’, prima fra tutte la legge sulla scuola di tutti, la famosa legge Falcucci, dove le persone con disabilità non andavano più in spazi a loro dedicati, che erano le famose scuole speciali, ma potevano accedere alla scuola pubblica, tutti quanti, nonostante il loro tipo di disabilità”.
Negli anni Settanta lei prende parte a Parma e nelle Marche a quella rivoluzione culturale messa in atto da Franco Basaglia per la liberazione del malato mentale dalla segregazione. Il movimento di “Psichiatria Democratica” l’ha in qualche modo orientata?
“Assolutamente sì e poi la possibilità di conoscere chi veramente faceva il cambiamento… Una rivoluzione positiva, cioè io non l’ho letto sui libri il lavoro di Basaglia ma ho pranzato con Basaglia, ho vissuto con Basaglia. Vivere in prima persona ci ha anche dato la misura delle cose perché cambia molto la realtà. Per anni io ho pensato che la strada per fare una rivoluzione positiva era quella solo del Terzo Settore, quindi la disabilità, i diritti, le persone con difficoltà in genere, e non avevo mai analizzato il tema femminile. Ci sono arrivata da grande, diciamo così. E ho capito che è un meccanismo straordinario per cambiare le società e poi per facilitare tutto il nostro mondo, che è quello di Angelipress (l’agenzia di informazione sulla cultura sociale che è proprio lei a fondare nel 2000, ndr.) che ha dentro di sé 47 categorie che sono tutti i temi del Terzo Settore, tra cui il tema dell’empowerment femminile da cui è nata Spoleto”.
La sua vivacità di pensiero collega in modo molto rapido ciò che ha intenzione di porre all’attenzione del pubblico e si intuisce quanto per lei sia importante.
“Spoleto non è che nasce improvvisamente, perché io non sono mai stata una femminista. Prima di tutto perché ero troppo piccola quando è nato il femminismo, è una questione anche di età, ma poi perché per me le battaglie e soprattutto le categorie, gli ambiti in cui militare erano ambiti di sociale diretto, quindi le persone con differenze sessuali, il tema dei diritti, le minoranze etniche e religiose, i detenuti in carcere, e così via.
Restituire al Terzo Settore un ideale sano fatto di diritti e possibilità sembra determinante nel periodo in cui viviamo. Ma le Istituzioni, come noi le conosciamo, sarebbero da sole in grado di valutare l’impatto che la politica può avere nei suoi confronti? E se no, quali sono i passi in avanti che lo Stato potrebbe fare?
“Prima di tutto fino ad oggi e lo devo dire con grande amarezza, avendolo vissuto anche personalmente – sono stata Commissario della cosiddetta ‘Authority’ del Terzo Settore che era l’agenzia delle Onlus – le scelte sono state scelte di fiori all’occhiello. Sicuramente la politica non privilegia il Terzo Settore, ma anzi vede il mondo delle Onlus quasi come dei nemici, almeno la parte che in questo momento ha più consenso. Salvo a fare delle scelte su certi temi. Siamo il paese più vecchio d’Europa e secondo paese più vecchio del mondo rispetto al Giappone che però ha una rete familiare con una differenza: in Giappone lo stesso rispetto che si deve alla famiglia e quindi agli anziani, lo si deve anche allo Stato, per questo loro sono i più anziani di tutti. Il sistema di welfare è un sistema controllatissimo”.
Come giudica il sistema del welfare italiano?
“Da noi questa rete si sta piano piano allentando. Abbiamo un paese di vecchi e di disabili perché i vecchi diventano pure disabili, abbiamo quasi un milione di allettati, abbiamo l’Alzheimer che impazza, qual è il nostro progetto e come ci dobbiamo muovere? Ci sono mille meccanismi che si potrebbero mettere in atto. No, lo Stato si appoggia al welfare familiare. Il vero privato sociale di questo paese sono le famiglie”.
Come definire la legge sulla figura del caregiver, l’assistente familiare, battaglia di cui da anni si occupano ad Angelipress e che a suo parere verrebbe quanto meno migliorato e semplificato “se avessimo più donne nelle situazioni decisionali e se avessimo più donne leader che provengono da questo mondo”?
“Noi sappiamo che una donna ha una resistenza fisica e una resilienza durante la vita che è indubbiamente più alta di un uomo, del resto loro non partoriscono. Già da quello vedi la resistenza. Uno si dovrebbe chiedere: perché le donne hanno un’aspettativa di vita più lunga degli uomini? Perché nei paesi più anziani e tutto il panorama di anziani è formato in maggioranza dalle donne? Perché hanno resilienza e resistenza maggiore degli uomini. Inoltre le donne sono multitasking. Io avuto tre figli e un marito con disabilità importante, non ho mai smesso di lavorare. Cioè voleva dire che io guidavo, scrivevo, gli facevo da segretaria e da pr, crescevo tre figli, magari giravo il sugo con un cucchiaio di legno – mi sono sposata a 17 anni, non li avevo ancora compiuti – e intanto andavo all’università e questo non l’ho fatto solo io, un sacco di donne che conosco hanno fatto molto più di me. Di uomini non ne conosco tantissimi che hanno fatto questo tipo di vita…”.
Cosa rimprovera in particolare agli uomini?
“Io li amo gli uomini, ho avuto tre mariti, sono pazza degli uomini, non ne potrei mai fare a meno! Però questo non vuol dire che gli spazi se li sono presi tutti loro. Poi c’è il discorso del soffitto di cristallo: noi abbiamo tantissime magistrati e nessun presidente della Corte Costituzionale, abbiamo aspettato esattamente settantadue anni per avere un presidente del Senato donna e poi, abbiamo mai avuto un presidente del Consiglio donna? Abbiamo mai avuto un presidente della Repubblica donna? E siamo stati tra gli ultimi, insieme alla Spagna, a dare il voto alle donne”.
A suo dire, dunque, la parità di genere sembra ancora lontana. Per il cambiamento ci vuole tempo è però anche vero che non possiamo aspettare di arrivare a un’effettiva parità gradualmente, dobbiamo fare, tirare dritto.
“Se tutti ci mettessimo in una sindacation del sociale del bene e delle cose positive, saremo i più forti del mondo. Se noi l’anno scorso abbiamo avuto Nessrin Abdalla (comandante curdo dell’Unità di Protezione Popolare delle Donne in Rojava, ndr.) – in una sede diplomatica non sarebbe mai potuta stare a pranzo nello stesso tavolo colloquiando con il ministro della difesa della Bosnia Erzegovina – e invece lì l’ha fatto. Per questo è importante Spoleto, perché in un festival assolutamente culturale che però ha cambiato il mondo perché è stato il primo festival italiano – Menotti mi aveva detto: “Io ho fatto Spoleto perché volevo sentirmi utile al mondo” – attraverso la cultura noi lavoriamo per un porto franco e quindi questi talk sono diventati lo spazio più interessante del cambiamento e dell’atteggiamento nei confronti delle donne”.
Utile al mondo, parafrasando Menotti è esattamente quello che Paola Melograni Severini  ha fatto con Angelipress.
 
 

Riccardo Regi: Direttore di Vivo Umbria, Perugino, laureato in Lettere, giornalista professionista dal 1990, vice direttore dei Corrieri Umbria, Arezzo, Siena, Viterbo, Rieti per 18 anni.