PERUGIA – Giuseppe Boco, ricercatore dell’Agenzia Umbria Ricerche analizza la situazione attuale e le potenzialità di sviluppo dell’aeroporto San Francesco: “La contemporaneità – scrive Boco – ci impone di essere collegati agli altri e di esserlo in modo veloce. La velocità degli spostamenti è vitale per qualsiasi territorio che voglia avere un futuro economico, culturale e relazionale attivo. Per evitare che l’Umbria continui ad essere un luogo raggiungibile a fatica e che finisca per configurarsi come un sistema introflesso, cominceremo a parlare del suo aeroporto.
Sotto un profilo generale gli aeroporti costituiscono un asset strategico per il Paese. Si configurano come un vero e proprio servizio pubblico essenziale per cui, indipendentemente dalla natura del soggetto erogatore, mirano al soddisfacimento delle esigenze della collettività. È chiaro che questa caratteristica non va sempre d’accordo col concetto del profitto. Tant’è che in Italia (l’Europa non fa eccezione), tra i 45 scali aperti al traffico civile, non sono molti quelli in attivo. Negli ultimi anni pre-Covid, Cuneo, Trapani, Ancona, Verona, giusto per fare qualche esempio, hanno fatto registrare perdite, e in alcuni casi sono state assai ingenti. Ma, per la crescita, a volte c’è un prezzo da pagare. E le infrastrutture aeroportuali, importantissime per lo sviluppo economico di un’area, hanno lo scopo ultimo di attrarre le compagnie aeree. Sta poi alle compagnie aree riuscire a far transitare passeggeri, decretando il successo o l’insuccesso di un aeroporto. Ferma restando, ovviamente, l’importanza per i singoli territori di destinazione di rendersi quanto più possibile attrattivi dal punto di vista economico, turistico e degli investimenti. Nessun aeroporto, nessuna linea area, riuscirà a trasferire persone in un luogo dove non ci sia nulla da vedere e nulla di interessante da fare (business, affari, scambi culturali).
Lo scalo umbro
L’aeroporto dell’Umbria è stato concepito e realizzato per perseguire lo sviluppo economico e la modernizzazione della regione e non è sbagliato inquadrarlo come un’opera pubblica strategica al pari di un’autostrada, di una tratta ferroviaria veloce, di un polo ospedaliero.
Oggettivamente ci troviamo di fronte ad una infrastruttura molto interessante. È stata disegnata dall’archistar Gae Aulenti e al viaggiatore offre un meraviglioso skyline. Quando si atterra/decolla da un lato si trova la bella Perugia e dall’altro la sempre incantevole Basilica di San Francesco d’Assisi. Ma non è tutto, perché questa infrastruttura geograficamente si colloca in una posizione felice in quanto baricentrica nell’Italia centrale. Tanto baricentrica che può essere un’alternativa validissima agli scali di Roma, Firenze, Ancona.
Nella sua dimensione più effettuale, più concreta, l’opera prende vita in un territorio molto dotato sotto un profilo culturale, artistico, storico e ambientale. Un territorio dove non manca un tessuto industriale di qualità.
Più in generale parliamo di un territorio molto attrattivo, ma che ha il limite di risultare poco accessibile in tempi rapidi.
Stando a questa premessa, il quadro potrebbe risultare entusiasmante, eppure nella realtà qualcosa non sta andando per il verso giusto. Le persone atterrate nel 2019 erano 219 mila ovvero in linea con i 215 mila del 2013, ma decisamente di meno rispetto alle 274 mila del 2015 che risulta l’anno migliore di sempre. Di fatto è come se un trend positivo si fosse interrotto. Tant’è che oggi non sono poche le perplessità circa le reali potenzialità del San Francesco di raggiungere quella soglia di 500 mila viaggiatori annui da molti considerata ottimale.
500 mila viaggiatori: una soglia raggiungibile?
Prima di procedere nella riflessione è opportuno fissare un paio di paletti metodologici onde evitare di essere risucchiati dalle contingenze legate al periodo critico che stiamo vivendo. Primo: visto che la ripresa piena del settore non è prevista prima del 2024, come sostengono i principali esperti, è questa la data di riferimento che prenderemo in considerazione. Secondo: i benchmark di riferimento non tengono in considerazione il biennio 2020/21.
A questo punto riformuliamo la domanda iniziale: immaginando di essere già nel 2024, quanti voli al giorno di media ci vorrebbero per raggiungere i 500 mila passeggeri?
Dalle informazioni in nostro possesso sappiamo che la portata media di un aereo che atterra al San Francesco è di 190 passeggeri. Se stimiamo che ogni velivolo viaggia al 90% della sua capienza, i voli da effettuare giornalmente per raggiungere la soglia dei 500 mila passeggeri sarebbero 4. Che non sembrano un’utopia. Tanto più se si considera che la regione, seppure tra le più piccole d’Italia, nel 2019 ha fatto registrare ben 2 milioni e 478 mila arrivi turistici. E, inoltre, è ancor meno un’utopia se si considera che l’Umbria – per la sua storia e le sue tradizioni – si presterebbe con facilità a diventare un “hub” per le mete religiose europee (qualcuno ha mai pensato a connettere Perugia con Cracovia e Cracovia con Perugia-Roma, dunque i flussi turistico-religiosi legati a Wojtyla con quelli legati a San Francesco?).
I possibili effetti sull’occupazione e sui redditi di 500 mila viaggiatori
Valutare la portata che l’ottimizzazione di un’infrastruttura può avere sullo sviluppo di un’area non è un’operazione facile. E non è una questione solo metodologica quanto una questione connessa alla complessità dei meccanismi che si innescano quando si va a modificare l’accessibilità di un’area geografica.
Ora, affidandoci ad un approccio analogico-qualitativo, avanziamo due simulazioni volte a mettere in evidenza gli effetti su occupazione e redditi generati da uno scalo di 500 mila passeggeri.
Secondo uno studio di BAIN & Co, ogni 100 mila passeggeri che arrivano in un aeroporto possono generare circa 800 nuovi posti di lavoro (tra diretti, indiretti e indotti). Inoltre, uno studio di ENIT ha stimato che ogni passeggero mediamente lascia al territorio dove atterra circa 480/500 euro.
Se prendiamo per buona questa stima anche per lo scalo umbro, raggiungere la soglia dei 500 mila arrivi un anno potrebbe voler dire attivare 4 mila occupati e 250 milioni di reddito aggiuntivi sul territorio.
Pertanto: al di là dei numeri che emergono dalle due simulazioni appena effettuate, ciò che preme evidenziare sono piuttosto due concetti:
1) le reti di trasporto agiscono direttamente sulla crescita delle destinazioni;
2) i punti di una rete non sono vicini o lontani ma sono connessi o disconnessi.
Questo significa che la riflessione sull’utilità di mantenere uno scalo aeroportuale in Umbria e di rilanciarne l’attività e le destinazioni (in partenza e in arrivo) è appena aperta.