Addio “Sora Cecioni” . Il 31 luglio aveva compiuto 100 anni. Se n’è andata Franca Valeri. Poco dopo aver raggiunto il traguardo di un secolo di vita. Un secolo vissuto intensamente. Era nelle case degli italiani dagli schermi in bianco e nero della Rai dei varietà, degli Studio Uno, delle trasmissioni firmate da quel gran genio di Antonello Falqui. Lei milanese, da tempo aveva inventato una maschera laziale, bissando quel successo che già aveva ottenuto con un’altra figura divenuta mitica: la signorina snob. Donna colta, intelligentissima, fine attrice di teatro, padrona del palcoscenico, aveva dimostrato fin da subito il suo genio creativo, sorretto da una cultura sconfinata maturata nei sui continui e prolifici contatti con il mondo intellettuale meneghino e le sue letture impegnate. Donna di spettacolo, aveva affinato la sua tecnica dapprima nei teatri milanesi e poi nei piccoli club parigini.
Drammatica la sua storia personale. Figlia di una madre cattolica e di un padre ebreo, fu risparmiata dalle leggi razziali grazie a un documento falso. Al secolo Franca Maria Norsa, fu convinta dal padre a trovarsi un nome d’arte; scelse Valeri in omaggio del poeta Paul Valery. Un passo decisivo per la sua carriera fu l’incontro dopo la fine della guerra con Alberto Bonucci, Luciano Salce e Vittorio Caprioli che poi è divenuto suo marito con i quali diede vita alla compagnia del Teatro dei Gobbi. Negli anni ’50 l’incontro con il cinema: il suo primo film fu anche il primo per Federico Fellini, «Luci del varietà», co-diretto da Alberto Lattuada. Poi arriveranno le pellicole con Totò, Sordi, Eduardo De Filippo. Ha lavorato per i più grandi registi italiani: Steno, Emmer, Risi, Comencini, Zampa, Mattoli, Bolognini, Corbucci, l’amico di sempre Salce e il marito Caprioli. Dagli anni ’70 in poi divennero frequenti le sue partecipazioni negli sceneggiati Rai. Ma saranno i varietà a darle quella notorietà che faranno entrare nell’immaginario popolare le sue maschere, i suoi personaggi: la signorina snob, Cesira la manicure, la sora Cecioni.
Negli ultimi 20 anni ha diradato le sue apparizioni, ritagliandosi piccoli ruoli in fiction sia Rai che Mediaset. Ha centellinato le sue partecipazioni a programmi tv dove, da ospite, ha incassato il meritato tributo per una carriera lunghissima e prolifica. E per una vita foriera di emozioni, vissuta nell’arte, e segnata fin dall’infanzia dal dolore e dalla paura. Recentemente, in un’intervista al Corriere della Sera, aveva riaperto quella ferita con il passato che non sembrava essersi mai rimarginata. «Papà era ebreo. Ricordo quando lesse sul giornale la notizia delle leggi razziali e pianse. Fu il momento più brutto della mia vita», aveva ricordato. Se n’è andata nella sua casa, nella campagna romana. Lucida e spiritosa, colta e ironica, non aveva perso il suo milanesissimo accento e il suo sguardo sardonico sul mondo. Una vera signora dello spettacolo.
“Ci ha lasciato una grande donna. Geniale, poliedrica, sempre in anticipo rispetto ai cambiamenti dei tempi attraversati nei suoi cento anni di vita. Lascia un vuoto ma anche una grande eredità nel cInema, nel teatro, in tutta la cultura italiana”. Così il ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini.