Peter Brook ha lasciato il segno del suo genio artistico anche in Umbria. A partire dal Festival dei Due Mondi di Spoleto con la direttrice artistica Monique Veaute che a distanza di poche ore dalla notizia della sua morte avvenuta ieri, 2 luglio e resa nota solo oggi, lo ricorda come uno tra i più grandi maestri del teatro del Novecento.
“Ospite del Festival di Spoleto nel 2010 con Eleven and Twelve / 11 and 12, spettacolo tratto dal libro dello scrittore africano Amadou Hampatè Bâ sulla vita e gli insegnamenti di Tierno Bokar, Brooke, nel corso della sua lunga carriera di regista, ha ridefinito – dice Monique Veaute – il modo di concepire il teatro grazie a produzioni celebrate per aver spogliato il teatro del superfluo e per aver ridotto il dramma all’essenziale”. E conclude citando un concetto cardine di Brook: “Posso prendere qualsiasi spazio vuoto e chiamarlo palcoscenico nudo. Un uomo cammina in questo spazio vuoto, mentre qualcun altro lo guarda, e questo è tutto ciò che serve per un atto teatrale” .
Il regista britannico era diventato, possiamo dirlo, un amico dell’Umbria, per i rapporti con il TSU e in particolare con il Teatro Cucinelli di Solomeo dove era venuto appena un anno fa, di novembre, per la sesta volta, per presentare in prima assoluta per l’Italia Tempest project.
“La tempesta – spiegò in quella circostanza Brook nelle note di regia – è un enigma, è una favola in cui nulla sembra poter essere preso alla lettera e se rimani in superficie la sua qualità nascosta ti sfugge”.
Significative le parole che, in quell’occasione, espresse Brunello Cucinelli: “Il ritorno di Peter Brook a Solomeo è per me motivo di grande gioia. Oltre alla profonda ammirazione per il suo genio e la sua immensa e rivoluzionaria opera, mi unisce a questo grande maestro della scena un profondo affetto. Nel corso di uno dei nostri incontri a Solomeo parlammo a lungo confrontandoci in merito alle nostre esistenze. Quando una volta gli domandai di raccontarmi di lui, della sua vita, con grande semplicità mi rispose: Amico caro, ho trascorso tutta la vita dialogando con Shakespeare. Vorrei aggiungere una sua bella citazione che mi è rimasta impressa in questi giorni: Il teatro è un alleato esterno del cammino spirituale, ed esiste per offrire bagliori, inevitabilmente brevi, di un mondo invisibile che permea quello di tutti i giorni, ed è normalmente ignorato dai nostri sensi’“.
Queste le parole di Nino Marino: “Se ne è andato il più grande maestro e regista del ‘900. E, anche se lui non voleva essere chiamato ‘maestro’, sono convinto che non ci sia definizione migliore per chi ha reinventato e rivoluzionato l’arte della messa in scena a livello mondiale”. Lo Stabile era da anni in strettissimo rapporto di stima, rispetto e collaborazione con Brook anche in relazione alla sua assistente e regista Marie-Hélène Estienne (qui nella foto con Peter Brook a Solomeo).
Il direttore del TSU Marino ricorda le rappresentazioni ospitate a Solomeo: TA MAIN DANS LA MIENNE, THE VALLEY OF ASTONISHMENT, WHY?, BATTLEFIELD, THE SUIT, THE PRISONER, fino a all’ultimo TEMPEST PROJECT.
“LA TEMPESTA – dice Nino Marino – è la creazione con cui Shakespeare ha voluto congedarsi e ‘riporre le armi della magia’. Mi piace pensare che non sia un caso che proprio l’ultimo spettacolo di Brook corrisponda a quello del drammaturgo e poeta inglese con cui ‘passava la vita a dialogare‘, come raccontò lui stesso una sera a Brunello Cucinelli. Ricordo che alla prima italiana di TEMPEST PROJECT ci chiamò dalla sua casa a Parigi per sapere com’era andato il debutto e come aveva reagito il pubblico. Gli facemmo ascoltare gli applausi dal telefono… fu un momento emozionante, di profonda umanità e amicizia che non potrò mai dimenticare”.
La cosa che rincuora proprio nel momento in cui non è più con noi, è pensare quanta gratitudine gli dobbiamo per l’enorme eredità su cui possiamo contare e che, in queste brevi note, proviamo, molto sommariamente, a riassumere.
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Il regista britannico e leggenda del teatro, viveva in Francia dal 1974, si è spento sabato 2 luglio a Parigi. Aveva 97 anni. Nato a Londra Chiswick nel 1925, da una famiglia di origini lettoni, passò la sua infanzia, con i due genitori e il fratello maggiore Alexis. Studiò al Gresham’s School ed alla Università di Oxford. Si laureò a Oxford, e il suo incontro con il teatro fu casuale. Voleva fare cinema, ma non riuscendo a debuttare, si avvicinò piano piano al palcoscenico. Ben presto conosciuto in Gran Bretagna, divenne noto al resto dell’Europa grazie al tour del Tito Andronico nel 1955. Notorio il suo interesse, meglio, amore, per Shakespeare di cui ha :messo in scena anche le cosiddette opere minori.
Come dirà egli stesso, il suo lavoro teatrale scaturisce da un “impulso informe”, senza alcuna tecnica. Lavorando, però, molto sugli attori, che a suo parere dovranno sentirsi liberi di dare tutto il loro apporto allo spettacolo. Le tre parole che danno vita all’evento teatrale per Brook sono répétition, répresentation e assistance. Tre parole dal francese, tre elementi necessari perché l’evento prenda vita: Répétition, ovvero le prove, dove l’attore cerca di migliorarsi; Représentation, rappresentazione, è la messa in scena, l’elemento mortale della ripetizione si perde nella serata della prima; Assistance, l’assistere, che permette alla rappresentazione di aver luogo nel modo esatto: l’attore non potrà fare tutto da solo, servirà una attenta e coinvolta, ma straniante, partecipazione del pubblico. Sposato con l’attrice Natasha Parry, due figli: Simon e Irina, lui regista e Irina lei attrice.