TODI – Realizzato nel 2009 per ospitare la collezione di materiali lapidei del comune, Il museo Lapidario di Todi si trova presso la chiesa di San Giovanni e nei locali del vicino Monastero delle Lucrezie. Il museo racconta la storia della città e raccoglie numerosi reperti di età romana, medievale e moderna, urne, epigrafi, stemmi ed elementi decorativi ma forse non tutti sanno che all’interno delle sue mura è custodito uno dei famosi quadrati magici del Sator, una delle più antiche e famose strutture palindrome della storia che da secoli attrae curiosi e studiosi.
Il Sator è un’iscrizione in latino, solo in apparenza semplice che riporta le cinque parole, ognuna di cinque lettere: SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS.
Notiamo innanzitutto che sia la parola Tenet sia la frase intera sono palindrome, ossia possono essere lette senza variazioni di significato da entrambe le direzioni ma non solo: se mettiamo le parole una sotto l’altra otteniamo un quadrato perfetto 5×5, su cui la frase può essere letta, da sinistra a destra e viceversa, dall’alto in basso e viceversa.
È il quadrato magico dell’antichità, simbolo antichissimo quanto il suo teorizzato potere magico, singolare nella sua perfezione, rinvenuto in innumerevoli luoghi sacri medievali e di cui si ritrovano tracce in lungo e in largo nella nostra penisola. In Alto Adige, a Bolzano, presso Castel Meraccio, in Lombardia, nella pieve di San Giovanni in provincia di Cremona, nelle Marche, nella chiesa di Santa Maria in Plebis Flexiae di Fabriano, nel duomo di Santa Maria Assunta a Siena, nell’Abbazia cistercense di Valvisciolo in provincia di Latina, ad Aosta nel Duomo di Sant’Orsa, nella chiesa di San Michele ad Arcé, provincia di Verona e poi il più sorprendente di tutti, quello che ha scompaginato le teorie che lo volevano un’enigmatica preghiera dei primi cristiani: quello rinvenuto sotto forma di graffito nella scanalatura di una colonna della Grande Palestra a Pompei che data quindi il primo Sator nel 79 d. C., anno dell’eruzione del Vesuvio e che fa cadere l’ipotesi cristiana.
Di base si pensa che questo palindromo perfetto venisse usato dagli antichi per scopi magici e sul significato del testo e sulla sua interpretazione non mancano le più fantasiose e bizzarre congetture. Alcune traduzioni recitano: “Il Creatore, l’autore di tutte le cose, mantiene con cura le proprie opere” oppure “Il Creatore con il carro tiene in moto le orbite”, forse un riferimento ai modelli dell’universo tipici dell’età antica, o ancora “ L’uomo le opere tiene, Dio (o gli dei) il destino”… Congetture, enigmi, resi ancor più complicati dal fatto che la parola Arepo non è latina, forse di origine celtica ma di fatto intraducibile.
Quale che sia la sua traduzione però, il quadrato magico di Todi ci affascina proprio per l’alone di mistero che porta con sé, così come i palindromi, dal greco palindromos che corre all’indietro, composto di palin di nuovo, all’indietro, e dal tema di dramein correre, hanno affascinato l’uomo fin dalla notte dei tempi. Bifronte, simmetrico, il palindromo porta con sé il potere androgino dell’armonia degli opposti, destra/sinistra, avanti/dietro, il sopra e il sotto di alchimistica memoria “così in alto così in basso” ed Ermete Trismegisto, dio degli incroci e bifronte per definizione.
Se gli alchimisti amavano celare i loro saperi sotto forma di artifici letterari o matematici, il più lungo palindromo della storia romana è stato rintracciato in: In girum imus nocte et consumimur igni – girovaghiamo nella notte e il fuoco ci consuma e si narra che fu pronunciato per la prima volta da un senatore romano che osservava il volo di alcune farfalle notturne intorno alla fiamma di una candela.
Nel nostro vocabolario sono numerose le parole palindrome, la più lunga della lingua italiana è la parola “ommettemmo” mentre in tanti si sono sfidati per il primato della frase palindroma più lunga: il francese Georges Perec compose un testo palindromo in lingua francese di ben 5556 parole, ma ora sembra che il record venga detenuto dal triestino Gabriele De Simon con il suo Il Vangelo Palindromo, un’opera che conta 6093 caratteri.
Cercando in internet sono infiniti i siti che trattano di questa abilità che si colloca, ancora una volta a metà, tra la letteratura e la matematica in un’unione profonda e curiosa dove, citando uno che delle parole ha fatto la sua vita, il famoso enigmista Stefano Bartezzaghi “Non siamo noi a fare i giochi di parole ma le parole a giocare con noi”.
E allora scusate il ritardo “Ero a dirottar trattori da ore” ma se “Osiride ci darà radice di riso” allora “A collo corolla d’alloro colloca”
Perché se è vero che come dice Achille Varzi, filosofo e professore di logica e metafisica “Il linguaggio è una chiave d’accesso a magie strutturali che invadono il mondo delle cose”, allora il fascino del palindromo risiede non solo nel suo far sorridere, ma nel suo essere principio e fine che rimanda però ad un nuovo inizio e verso quell’innata capacità umana di cercare e trovare soluzioni.