A Ravenna Oliviero Toscani "racconta" 50 anni di magnifici fallimenti

RAVENNA – Meticciato e underground, ritratti di Mike Jagger e Lou Reed datati 1973-74, passando attraverso i particolari dell’imperfezione, chiavi di accesso per individuare l’unicità di ognuno di noi e allo stesso tempo la pluralità, l’insieme, l’identità plurale. Esistono tanti modi di viaggiare, si viaggia con la mente, si viaggia con i sensi dilatati per percepire quanto più possibile quel che ci circonda rinnovando continuamente lo sguardo nella mutevolezza di ciò che appare di fronte a noi. E’ proprio in questa capacità del viaggio e del saper narrare che Oliviero Toscani come in una fiaba, a volte dolorosa (come in No Anorexia) a volte con esiti esaltanti, prende in considerazione l’identità plurale della condizione umana, quel meticciato che è all’origine del mondo, un hub che non ha luogo, un non luogo dell’utopia dove tutti si incontrano e tutti attraverso i loro occhi e le loro espressioni diventano narratori di se stessi. Si chiama Progetto Razza Umana e rappresenta il corpus più impattante della mostra allestita al Mar (Museo d’arte della città di Ravenna) e aperta sino al 30 giugno che il direttore Maurizio Tarantino ha fortemente voluto da un lato per trasgredire al concetto tradizionale di museo che spesso non è all’altezza di relazionarsi alla contemporaneità, dall’altro per sancire il diritto di lanciare il messaggio che Toscani sintetizza egregiamente: nell’era della globalizzazione e della società liquida è oggi più che mai necessario dare al vedere il valore della narrazione che si soffermi sull’alterità, ne percepisca le differenze, ne assimili i tratti peculiari e le imperfezioni per relazionarsi a noi e scoprire che là dove si credeva che il diavolo nascondesse la sua coda, in realtà c’è la rivelazione di una articolazione antropologica apportatrice di ricchezza, prima di tutto interiore e che ridefinisce il nostro stare al mondo: non più fermi in un punto, in un luogo, in una situazione, ma molteplici e plurali nella conoscenza di altri mondi, di altri luoghi, di altre espressioni, di altri tratti somatici. Così a sancire quanto i “50 anni di magnifici fallimenti” di Oliviero Toscani, questo il titolo della mostra, lascino un segno nel ravvivare il messaggio “che l’unico e vero scopo dell’arte – parole dello stesso Oliviero Toscani – è la testimonianza della condizione umana. Mi sono sempre interessato all’imperfezione umana. Perché all’interno dell’imperfezione umana c’è tutta la creatività possibile, di fronte a una quercia, un salta martino, il monte bianco, il mare, mi commuovo fino ad un certo punto perché tutti gli elementi della natura sono perfetti. Mi commuovo di fronte all’unicità di ogni individuo e per questo fotografo gli esseri umani nelle molteplici espressioni”. “Allora – aggiunge il direttore del Mar, Tarantino – forse , la ragione per cui ricordiamo le fotografie di Oliviero Toscani (e, nel rivederle, continuiamo ad emozionarci) è la stessa che induceva Antonio Gramsci a credere che al figlio Delio piacesse, come piaceva a lui, la storia: perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini possibile, tutti gli uomini del mondo”. “ Se è così – conclude Tarantino – i “50 anni di magnifici fallimenti” sono anche una chiave per leggere gli ultimi 50 anni della nostra storia. Una storia come susseguirsi di fallimenti; una storia che, non potrebbe essere altrimenti, è strettamente legata al “mercato” perché come ci ricorda Enrico Ghezzi “tutta la comunicazione è pubblicità, se non è amore”. Ed è forse questo il magnifico fallimento di Oliviero Toscani: aver contribuito in maniera tutta sua a trasformare i mercati (ben prima che i guru del Cluetrain Manifesto lo teorizzassero) in “conversazioni”, facendo sì che un jeans attirasse la condanna della Chiesa cattolica e spingesse Pier Paolo Pasolini a riflettere sul capitalismo e sul senso del divino, una maglia colorata parlasse del valore (o disvalore) dell’identità razziale e religiosa, della guerra e delle ingiustizie, della vita e della morte”.  In sintesi qualche decennio del lavoro del fotografo è il tema della mostra che fa riferimento ai “fallimenti”. Per chi conosce la storia di Toscani, sa che il fallimento rappresenta per l’artista una prospettiva, per non fermarsi mai e sfidare ogni limite. L’esposizione – che complessivamente presenta quasi 150 fotografie – gravita attorno a un corpo centrale di immagini costituito da 100 fotografie di piccolo formato che ripercorrono la carriera di Toscani. Completano e integrano il percorso espositivo due corpi di lavoro che si sviluppano lateralmente: il progetto “Razza Umana” e il “Focus newyorchese”.

Claudio Bianconi: Arte, cultura, ma soprattutto musica sono tra i miei argomenti preferiti. Ho frequentato il Dams (Scienze e Tecnologie delle Arti, dello Spettacolo e del Cinema). Tra i miei altri interessi figurano filosofia; psicologia archetipica; antropologia ed etnologia; fotografia-video; grafica, fumetti, architettura; viaggi.