Riceviamo e volentieri pubblichiamo queste riflessioni che sono giunte alla nostra redazione a firma dell’architetto orvietano Raffaele Davanzo a commento della serata promossa dall’Opera del Duomo nella Cappella di San Brizio nella Cattedrale di Santa Maria Assunta di Orvieto, che ha visto protagonisti Giulio Scarpati e il maestro Riccardo Cambri.
****************
Quanta luce nel mondo: dove finiscono le parole, inizia la musica
di Raffaele Davanzo
Sabato 30 settembre, promossa dall’Opera del Duomo nella Cappella di San Brizio nella Cattedrale di Santa Maria Assunta di Orvieto, agli affreschi di Luca Signorelli che descrivono il Giudizio Universale si sono affiancati, in una sorta di coralità ad infinite voci, le musiche interpretate dal maestro Riccardo Cambri al pianoforte e le letture da Shakespeare, Jacopone da Todi, Sant’Agostino, Madre Speranza e Papa Francesco: testi letti con la giusta partecipazione, allargata ai sentimenti di sacralità, da Giulio Scarpati.
Tema: Quanta Luce nel Mondo, una proposta di visione dell’Universo e dell’Eternità che, partendo dal Giudizio Universale, scavalca l’ultima fase della Storia per mirare alla rigenerazione del tutto. Grazie alla Luce divina, come afferma san Giovanni nell’incipit del suo Vangelo: Ciò che venne all’esistenza tramite lui era vita, e la vita era la luce degli uomini. E la luce risplende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno sconfitta. Ecco l’identificazione del volere divino con la Luce: è la forma sostanziale ad immagine di Dio e conduce verso la rettitudine, la conoscenza, la coscienza, e quindi verso ogni bellezza. Ricordiamo che nell’abbazia di Saint-Denis presso Parigi, l’abate Suger aveva inventato un nuovo modo di costruire, cioè quello che poi fu definito come architettura gotica, volto a celebrare la maggior gloria di Dio grazie alla Luce: la sua chiesa doveva innalzarsi fino al cielo e la luce divina doveva essere sorprendentemente presente, grazie alla eccezionale sottigliezza degli elementi architettonici, in modo da realizzare, oltre che riflettere, la vera luce di Dio in terra. Anche la luce nella Cappella di San Brizio è un elemento essenziale della progettazione del ciclo: Signorelli fece aprire nella parete di fondo la finestra centrale, per ottenere una luce pura che entrasse copiosa dalla parete di fondo rivolta ad oriente, il punto cardinale più efficacemente divino. Così, tutte le ombre dei suoi personaggi nascono da quella luce. Luce è Speranza, e questo è un tema fondamentale nel messaggio più profondo contenuto nella Cappella di San Brizio. Certamente la Fine del Mondo, la fine del tempo e dello spazio, ed il Giudizio Finale come validazione etica di ogni uomo, sono colà i temi più espliciti e comprensibili: ma tanti altri segni ci fanno capire che il messaggio più importante, anche se non immediato, è che il tempo e lo spazio non sono l’ultima frontiera. L’ultima frontiera è l’animo umano. Lo spazio non è altro che il posto che ci era stato assegnato per affrontare la sfida; e la vera vittoria potrà venirci solo dalla costanza che avremo nello sfidare e nel mettere alla prova i nostri limiti, e per superarli, sia come individui che come gruppi, non solo ecumenici ma anche politici. È questo il messaggio, pienamente umanistico e rinascimentale, che Signorelli coniugò come una grande ripartenza artistico-culturale della storia dell’uomo.
Luce – Speranza – Rinascita – Aurora di un Nuovo Mondo, quello che Virgilio preconizzava nella Quarta Egloga che proprio negli affreschi è citata. Un solo segnale da mettere a fuoco, ma il più eclatante insieme a quelli inseriti nella zona basamentale dedicata ai letterati: l’uovo primigenio, da sempre indice di rigenerazione e rinascita, che pende, come nella Maestà di Brera del suo maestro Piero della Francesca, dalla chiave della finestra centrale, punto di fuga prospettico e ideologico di tutto il ciclo. Che è come una sfera avvolgente, ben rappresentata dall’architettura dipinta vista in prospettiva col punto di fuga subito dopo l’ingresso, in modo tale che uno spettatore appena entrato possa sentirsi completamente avvolto dalle Storie della Fine, e immaginare il tempo e lo spazio che si annullano: ma, come accennato prima, il messaggio forte di Signorelli lo troviamo in molti spiragli che ci fanno comprendere che la Fine è solo un intervallo di quello che è accaduto fino adesso, ma che da quel momento in poi tutto ricomincerà secondo una nuova Aurora spinta dalla Luce Divina. Non a caso, la lettura da I Soliloqui di sant’Agostino esplicitava così il concetto: Non amerò l’oscurità finché non avrò rivisto il Sole, che è come Dio: bene e bellezza nel quale, dal quale, grazie al quale, buono e bello è tutto ciò che è buono è bello in Dio. Luce Divina che porta alla Speranza, la seconda delle Virtù teologali, quella che più avvicina Dio all’animo dell’uomo. Speranza – Aurora: quell’Aurora che è sublimata, in musica, in un altro grande momento di passaggio della storia e della cultura, da Ludwig van Beethoven nella Sonata n.21 in Do maggiore Op.53, detta appunto Aurora. È la prima delle esecuzioni per pianoforte interpretate dal maestro Cambri: brano che passa da un martellante e concitato inizio ad un finale di grazia positiva, dalla cupa notte al giorno più luminoso. Successivamente, e dopo il momento apocalittico rievocato nella Lauda n. 6 di Jacopone da Todi, Riccardo Cambri ha eseguito meravigliosamente tre trascrizioni di Liszt da Lieder di Schubert, in un crescendo di sentimenti ottimistici: da Aufenthalt (la Stasi, la Sosta) fino Auf dem Wasser zu singen (Cantare sull’acqua), che evoca sorgenti e polle rigeneratrici finalmente ritrovate. Per concludere con L’Isle Joyeuse di Debussy, un’espressione esuberante e a colori vividi: che in questo contesto diventa come l’isola felice delle mitologie, o quella della Utopia di Tommaso Moro, o la Città del Sole di Tommaso Campanella. È il Nuovo Mondo, quello della Rinascita, e nell’isola di Debussy il ritmo tintinnante e scintillante dell’acqua ci suggerisce davvero lo scrosciare di una nuova vita in un nuovo mondo. Da sant’Agostino, che vedeva nella luce della Speranza la possibilità del riscatto di ogni uomo, le letture si sono concluse con due grandi contemporanei della Mistica e del pensiero cristiano: Madre Speranza e Papa Francesco, con un florilegio di citazioni, estratte da testi riferiti a diverse occasioni, ma collegate insieme in una sorta di tributo di sentimenti religiosi alle bellezze della pittura e della musica. E qui ritorna la sensazione sferica avvolgente, la connessione intima delle tre componenti della serata che ha costruito qualcosa che si è dimostrata ben superiore alla sommatoria dei singoli momenti, sia letterari che musicali.
Ancora una parola sulla scelta dei brani musicali, interpretati con l’armonia sapiente dell’equilibrio tecnico ma con la più larga partecipazione sentimentale del maestro Cambri (tra l’altro un meraviglioso interprete chopiniano). Nei brani eseguiti emerge vivido il concetto romantico ed idealistico della musica vista come espressione dell’anima che si dibatte per ricercare non solo la felicità e l’amore, ma la ragione stessa del Vita e quindi della Morte. La perfezione formale, sostanziale e tecnica del sistema ad incastro dell’evento si è generata dall’essenza dei tre luoghi semantici della pittura, della letteratura e della musica nelle loro infinite possibili reciprocità e rifrazioni. Il sapore estetico ed intellettuale che ogni spettatore ha riportato con sé è stata sicuramente la gioia di aver compreso quale fosse la vera dimensione, secondo Signorelli e gli autori dei testi e delle musiche, che Dio aveva concepito e progettato per l’Uomo.
Un’ultima notazione: Franz Liszt e le sue trascrizioni. La trascrizione fu una prassi compositiva romantica che legava il pianoforte, strumento simbolo dell’epoca, alla riproducibilità tecnica di ogni composizione esistente, sia sinfonica che corale che operistica. Così la trascrizione consentiva a tutti l’esecuzione di una pagina anche complessa. Liszt tuttavia intendeva la trascrizione anche come ripresa di un tema (come quelli di Schubert eseguiti in questo evento) per trarne spunti originali, suoi o, come li chiamava lui stesso, reminiscenze. Con aspetti timbrici, armonici e formali nuovi, e plasmati con nuove prospettive poetiche. Il che mirava anche ad un altro obbiettivo, quello di dare alla musica un palcoscenico intimo, casalingo, davvero romantico. Perché era terminato il tempo in cui la musica era commissionata a livello istituzionale per accompagnare i fuochi d’artificio o le cene del re, in quanto l’estetica romantica vedeva la musica librarsi nella dimensione dell’assoluto, aspirando al meraviglioso regno dello Spirito, dell’Infinito. Non a caso Heinrich Heine, poeta romantico, affermava che dove finiscono le parole, inizia la musica, l’afflato personale dell’animo del compositore. Fu Schubert uno dei primi a seguire questa via con i suoi Lieder per voce e pianoforte, centrati sulla resa musicale dei contenuti espressivi, per tentare di raggiungere quella Musica assoluta, la forma d’arte svincolata da qualsiasi significato predisposto, come puro linguaggio poetico. La nobile formazione, il virtuosismo tecnico e la sensibilità del maestro Cambri hanno poi fatto la loro parte, arricchendo quella sensazione sferica di cui abbiamo parlato fin dall’inizio.
Foto: Marco Mandini