PERUGIA – L’etimo del verbo riflettere rinvia ad una serie di significati diversi, ma tra i più importanti ne appaiono due: riflettere nel senso di rimandare indietro anche e soprattutto in considerazione della luce riflessa che rinvia indietro un’immagine e riflettere nel senso di immergersi nei propri pensieri, in una meditazione profonda delle proprie idee. Jeff Koons, l’arti-star che ha rivoluzionato il mondo dell’arte negli ultimi anni, con la sua mostra “Jeff Koons. Shine”, sino al 30 gennaio a Palazzo Strozzi, sembra volerci indicare con il suo “bagliore”, con la sua lucentezza una serie di significazioni diverse che si affastellano l’una sull’altra a stratificare segni, input, intuizioni quando non espliciti riferimenti all’attualità. Se da un lato quel che lui stesso riconosce come padre putativo della sua arte, Andy Warhol, con la ripetizione e la serialità aveva individuato il cliché riconosciuto e riconoscibile della società di massa, Koons con i suoi bagliori che scaturiscono da oggetti che rinviano a un mondo interiore bambinesco e ludico su materiali come l’acciaio o metalli preziosi, sembra indicarci insieme un duplice significato: l’edonismo e l’estremo individualismo che caratterizza i nostri tempi in un mondo in cui i bagliori della luminescenza dominano qualsiasi tipo di scenario; l’iper-individualismo sotteso nel vedere riflessa dai suoi costosissimi e lussuosi oggetti niente altro che la propria immagine riflessa come nuovi Narciso che rispecchiano la propria immagine nell’acqua del lago, ma insieme la democratizzazione del riflesso che non può negare a nessuno la proiezione della propria immagine. E’ in questo stratificarsi di sensi che Koons rilegge l’arte con alcuni raffinati riferimenti come nuova modalità dell’essere e dell’apparire facendo diretto riferimento al lusso dei materiali usati nella realizzazione dei suoi oggetti e stabilendo così anche un senso autoreferenziale della sua arte che infine finisce per riflettere se stesso. Insomma, il riflesso è democratico di per sé, non si nega a nessuno, ma l’arte no, è per pochi, anzi quei pochissimi collezionisti che a suon di milioni di euro sono in grado di acquistarla e così di continuare ad alimentarne il mito e la “lucentezza”.
A Palazzo Strozzi, dunque, per l’ex marito di Ilona Staller si presenta l’occasione di far riflettere sulla sua arte con una lunga serie di lavori realizzati in circa quaranta anni di carriera e disposti in maniera quasi maniacale, curati in ogni particolare, persino nel colore delle didascalie, in un allestimento dei suoi pezzi migliori dagli anni Settanta sino ad oggi, tra cui il Baccarat Crystal Set dell’ ‘86, gli immancabili giocattoli gonfiabili dai colori flou e le rivisitazioni in forme spesso gigantesche di alcune icone della cultura pop sottratte a fumetti e industria cinematografica come Hulk.
Jeff Koons rimane dunque icona assoluta della Post Pop Art che assomma in sé da un lato le logiche di appropriazione e contaminazione del mercato già codificate da Warhol e dall’altro una spiccata tendenza all’autopromozione che sempre prende le mosse dall’artista newyorkese ma raggiunge nuove ed incredibili vette grazie anche alla grande eco mediatica offerta agli artisti contemporanei, un cortocircuito che sguazza nella “mediamorfosi” in atto tra enfatizzazioni e banalizzazioni che rimbalzano sui social. Un processo iniziato a cominciare dagli anni Ottanta, i tempi del riflusso e che proietta la sua aura o la sua ombra (dipende dai punti di vista) sino ai nostri giorni. La stretta relazione tra Koons e il nostro Paese inoltre fa parte della sua ricerca artistica. In Italia Koons seguì una serie di seminari nei quali imparò la tecnica di fusione e di creazione della ceramica e della porcellana. Uno dei pezzi più noti realizzati in porcellana è “Michael Jackson e Bubbles” (1988) nel quale la popstar è raffigurata assieme al suo scimpanzé domestico. L’opera è composta interamente di porcellana bianca laccata in oro. La scelta dei soggetti che effettua Koons rinvia a sua volta alla lezione di Warhol e alla canonizzazione della cultura pop come massima ispiratrice anche nei riferimenti al mondo dell’infanzia e della spensieratezza. Sempre in Italia, questa volta a Venezia, si ricorderà l’enorme “Balloon Dog” (2007) rosa che fu collocato su Canal Grande durante la mostra di riapertura di Palazzo Grassi oggi sede della Fondazione François Pinault segnando di fatto l’ingresso della porta d’acqua come una sorta di mite animale da guardia. Altro campo di indagine, frutto di lavori su commissione, sono le piante e i fiori riprodotti su scala monumentale e a questo proposito non può mancare la citazione di “Puppy”, gigantesca scultura floreale installata davanti al Guggenheim Museum di Bilbao oggetto di curiosità e di scatti fotografici delle migliaia di turisti che ogni anno affollano la città basca.