TERNI – Un viaggio. Nel tempo, nei luoghi e soprattutto nella musica, questo è “Il tempo di una canzone”. L’ultimo libro di Raffaele Federici, uscito per Gambini Editore, è una scrittura che esplora le relazioni possibili tra memoria, umori e emozioni che i suoni riescono a suscitare. Federici, artista, sociologo e docente universitario, è anche un raffinato ascoltatore e collezionista di vinili. In questo lavoro ripercorre molti dei suoi viaggi creando una playlist ideale di trentatré tracce. Si parte da casa, come in ogni viaggio – da Amelia in questo caso – attraversando i continenti, le storie, i ritmi e i generi per concludere “da qualche parte nel deserto del Sahara”. Ogni luogo è accompagnato da un ascolto dove ogni lettura dura il tempo di quella canzone. Un libro che nasce da una domanda, imprescindibile: “Quanto dura una canzone?”
Ne parliamo con l’autore che ci svela alcuni aspetti.
Un libro musicale nell’essenza. Una playlist con trentatré brani scelti, abbinati a altrettanti luoghi e ricordi. Un numero non casuale, c’è anche una citazione dantesca. A cosa fa riferimento?
Il riferimento è a un trentatré giri; mi piace pensare che si possa descrivere il mondo attraverso un suono, anzi mi piace pensare che sia il suono a descrivere il mondo. La musica in fondo non ha bisogno di aggiungere parole; è assoluta. Dante perché trova nelle armonie uno specchio ideale di una armonia nella vita, qualcosa di difficile. Tuttavia proprio i suoni ci avvicinano, difficilmente dividono.
Con questo libro lei ripercorre alcune tappe della sua vita e dei suoi viaggi. Come è nata l’idea e come ha vissuto il processo creativo?
Sono un pittore; cerco di mettere insieme colori e tonalità. Ho sempre immaginato il mondo come qualcosa da preservare, da proteggere, da rispettare. Un bosco ha suoni e colori infiniti. Uno spazio urbano può trovare un suo equilibrio proprio a partire da questa banale intuizione.
La musica in questo volume rappresenta l’anima della scrittura, il principio da cui nasce. Lei che tipo di ascoltatore è?
Ascolto di tutto; sono curioso. Mi piace sentire quei suoni che portano il pensiero oltre quello che Damasio chiama l’errore di Cartesio. Una volta un musicista congolese mi ha raccontato che aveva copiato il titolo di una sua canzone in Occidente; poi ha aggiunto “la mia anima però non possono prenderla”.
Se dovesse scegliere, c’è un luogo, una canzone a cui è particolarmente legato?
Non posso scegliere; non mi piace classificare il bello. Amo molto le città del Vicino Oriente ma in fondo la musica è forse nata lì.
L’appuntamento con “Il tempo di una canzone” è per domenica 31 ottobre alle 15 al Caffè Letterario della Bct. Coordina Marina Dobosz, interverranno l’autore e Uliano Conti.
Sara Costanzi