Diego Ruvidotti nasce nel 1958 a Bolzano e da una decina d’anni risiede in Umbria. Lo conosco credo dal 2013 e ne ho sempre apprezzato le qualità artistiche perché lo trovo un trombettista molto interessante nel vasto panorama del jazz italiano. Ho seguito alcuni dei progetti portati avanti nel corso del tempo come “Dream Machine”, “LGM 5et”, “Diego Ruvidotti Quartet”, il duo con il chitarrista Toti Panzanelli e le numerose collaborazioni nei lavori di altri musicisti, avendo anche l’opportunità di assistere più volte ai suoi concerti.
Quando pochi giorni fa ho appreso della pubblicazione di un nuovo lavoro subito pensato di ascoltarlo e dopo averlo contattato, solo qualche sera fa, l’ho fatto insieme a lui ed al buon amico Fabrizio Orcidi, che ci ha ospitato a casa sua, in una dimensione molto rilassata; ecco le mie impressioni.
Non a caso il disco, pubblicato da Musitalia, dal titolo “Kill the hurry”, la cui traduzione è “Uccidi la fretta”, è stato ideato, pensato, campionato e suonato dal trombettista tranne alcuni interventi di cui parleremo dopo.
È in parte figlio del lockdown, e realizzato appunto senza fretta, in quanto il musicista mi ha rivelato che lo scorso anno, visto anche il fermo concertistico, aveva pronti alcuni brani che ha poi pubblicato in varie piattaforme digitali ed ha pensato di aggiungere, durante la scorsa primavera, altre tracce, per formare un lavoro della durata di circa 70 minuti, che risulta molto gradevole.
La scelta del musicista è stata quella di utilizzare la tecnologia ed avvalersi di un supporto ritmico elettronico ma la peculiarità sta anche nell’utilizzo di campionamenti di suoni tra i più disparati, che opportunamente processati, contribuiscono a creare un’atmosfera che coniuga il lirismo di tromba e flicorno a suoni apparentemente più freddi che tuttavia si sposano bene.
Tredici sono i brani che compongono l’album, interamente composto dal trombettista, che si avvale soltanto nelle tracce 1 (alla voce), e 3 (alle percussioni), del figlio Lorenzo Ruvidotti e del chitarrista Alessandro Degasperi nella 7.
Se si infila il disco nel lettore cd (tornando a casa avrei voluto farlo ma ormai le auto non ne sono più provviste), ci si immerge in una colonna sonora dei tempi moderni.
Tra le tracce che mi sono piaciute maggiormente “A bit blue”, “Far and near”, “Chill bop”, “Black roots”, “Upward” e “Something true”.
La grafica e le foto sono dell’altro figlio, Marcello Ruvidotti, fotografo / videomaker e fresco vincitore del premio FIP Award 2021; molto bella quella della retrocopertina, che alleghiamo.
L’album, che vale senz’altro la pena d’esser ascoltato, è disponibile su tutte le principali piattaforme digitali e può essere ordinato in formato fisico al seguente link: https://www.musitalia.com/