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Ben Harper annulla la data di Umbria Jazz, intanto è giunto il momento di guardare al futuro

PERUGIA – Ben Harper ha annullato il suo tour europeo inclusa la tappa a Perugia di Umbria Jazz del 16 luglio. “A causa degli attuali problemi riguardanti salute e sicurezza dovuti alla pandemia in corso – ha motivato l’artista in una nota stampa – abbiamo preso la decisione impegnativa ma necessaria di annullare il nostro tour europeo previsto per quest’estate 2021. Torneremo in tour alla prima e più sicura opportunità. Intanto ieri si è svolta in Regione l’assemblea della Fondazione per l’approvazione del bilancio; è stata risanata tutta la passività e formalizzato il risanamento della passività arretrata, quindi raddoppiato il fondo di dotazione che passa da 270 a 470 mila euro. E’ stata inoltre approvata la deroga per l’ampliamento dell’Arena Santa Giuliana da 1.000 a 1.700 posti, vale a dire la capienza massima dell’arena in base alle restrizioni anti-Covid. Dunque con il raddoppio del fondo di dotazione si realizza una maggiore sicurezza e una minore fragilità della Fondazione. E’ stato inoltre stabilito che le spese aggiuntive di Umbria Jazz per affrontare l’emergenza Covid ammontano a circa 100 mila euro e di 130 mila euro per la copertura della pista di atletica.

Ma con la progressiva uscita dalla pandemia, forse Umbria Jazz dovrebbe già da ora ricominciare a guardare al futuro. Ci dividono solo un paio d’anni dal cinquantennale di Umbria Jazz, ma è bene qui ripercorrerne la storia e le motivazioni che ancora oggi la ispirano. Al di là di qualsiasi ipotetico dubbio, Umbria Jazz nacque nel 1973 su impulso del fondatore e direttore artistico Carlo Pagnotta e dell’allora assessore alla cultura e al turismo Alberto Provantini. Umbria Jazz, marchio di proprietà della Regione, doveva rispondere – secondo le intenzioni – alla promozione e alla valorizzazione turistica e culturale dell’Umbria ed è per questo che nacque con la formula itinerante, dislocata in alcuni dei borghi e dei luoghi più suggestivi del territorio. Una formula che diede ben presto segni di cedimento sotto gli attacchi di un “popolo” del jazz che a fronte dell’offerta generosa di poter fruire di musica eccellente a titolo gratuito, rispose con una invasione di massa che mise a dura prova la fragilissima organizzazione logistica del festival. Così, dopo tre anni di stop, Umbria Jazz riapparse con una progettualità del tutto rinnovata: concerti concentrati nel solo capoluogo, istituzione dei biglietti di ingresso ai concerti e innalzamento del livello qualitativo della musica. Gli umbri rimasero a guardare e un po’ privati dell’idea di promozione del territorio e un po’ titubanti, nel giro di qualche anno dovettero ricredersi, nonostante le risorse pubbliche messe a disposizione dalla Regione venissero distribuite soltanto nell’area specifica di Perugia. La nuova formula funzionò molto bene e Umbria Jazz ben presto si impose quale festival tra i più belli al mondo. Tanto che oggi il marchio Umbria Jazz è tra i più conosciuti e riconoscibili in Italia. Nonostante qualche accesa polemica soprattutto con Terni, il successo di Umbria Jazz pose di fatto anche un paradigma inedito nel concepimento del festival accentrato in uno scrigno d’arte e di storia come il centro storico di Perugia – e più tardi Orvieto – che ne stabilì la stretta relazione tra musica di qualità e patrimonio storico-artistico dei luoghi di svolgimento. Gli umbri non perugini, come detto, rimasero a guardare e, al momento, nella prospettiva di un’uscita completa dalle minacce della pandemia, si pongono forti due questioni in antitesi tra loro, o meglio, forse complementari. La prima e più importante questione è legata al futuro di Umbria Jazz e al fatto che dopo 48 anni, il festival non sia riuscito a trovare una sua credibilità e una fiducia incondizionata tra la classe politica regionale e locale. Non si spiegherebbe altrimenti perché dopo quasi 50 anni e un successo, ormai riconosciuto a livello planetario, Umbria Jazz non goda ancora di un suo ambito esclusivo anche per quel che riguarda lo spazio. “Già dal 2003 – sottolinea Carlo Pagnotta – era stato promesso che le associazioni sportive di atletica avrebbero trovato un nuovo luogo dove svolgere la loro attività, un luogo alternativo al Santa Giuliana che avrebbe dovuto essere individuato e creato dagli enti locali. Ci ritroviamo ad oggi che la solo ricopertura della pista di atletica per evitare di danneggiarla durante il festival ha costi che si aggirano intorno ai 130 mila euro”. Ma questo aspetto è solo la punta dell’iceberg della assoluta carenza di convinzione e progettualità della classe politica e amministrativa intorno ad Umbria Jazz se è vero che, ancora oggi ogni anno viene sborsato circa un milione di euro tra le spese del noleggio del palco-luci-amplificazione e quelle relative alla struttura che viene allestita al Santa Giuliana per i tradizionali dieci giorni di festival. In sostanza l’intero fondo di un milione di euro stabilito nel dicembre 2017 con apposita legge con il riconoscimento di Umbria Jazz come manifestazione di interesse nazionale, si volatilizza per coprire queste spese. E senza contare che dal 2003 (anno del trasferimento di Umbria Jazz dai Giardini del Frontone all’Arena Santa Giuliana) al 2021 sono passati 18 anni, equivalente a una somma di circa 18 milioni di euro, ben oltre i costi di un avveniristico e iperfunzionale progetto architettonico di ridestinazione del Santa Giuliana. Ma sono ancora molti altri gli aspetti che evidenziano l’assoluta inadeguatezza politica nei confronti di Umbria Jazz che, al di là di una revisione dello Statuto che individui un diverso e più proficuo ruolo del Comune di Perugia – come più volte sottolineato da Pagnotta – nell’era dello streaming e delle piattaforme digitali, non disponga ancora di un “archivio” digitale sulle preziose testimonianze del passaggio di grandi musicisti a Perugia e dei loro concerti, né di una progettualità che preservi tali testimonianze con il riversaggio dall’analogico al digitale per le annate più vecchie. Senza contare che questo immobilismo decisionale ha già prodotto gravi danni alle prospettive di sviluppo di Umbria Jazz e con esse dell’economia del territorio, come, ad esempio, il fatto che Valencia, in Spagna, nel 2016 ha sopravanzato Umbria Jazz nell’accogliere il campus del Berklee College of music di Boston, vale a dire la più prestigiosa accademia americana di formazione di musicisti contemporanei che ha trovato una seconda  sede ideale nella città spagnola proprio grazie alla possibilità di poter fruire di un’avveniristica struttura, collocata nell’iconico complesso della Città delle Arti e delle Scienze. L’imponente campus da 3.600 metri quadrati, unità indipendente e dotata di spazi per le esibizioni condivisi con il Palau de les Arts Reina Sofia, è stato appositamente progettato per la musica e vanta una tecnologia all’avanguardia finalizzata a offrire un trampolino di lancio per la carriera artistica internazionale degli studenti di musica più talentuosi.

Sono questi soltanto alcuni degli aspetti che relegano Umbria Jazz all’episodicità festivaliera, senza alcuna possibilità di fondare una progettualità più solida a 48 anni dalla sua nascita. Un’episodicità che ormai è diventata metodo e che riduce drasticamente le prospettive e le ricadute economiche sul territorio. E allora, per tornare alla seconda questione, perché non ridare agli umbri tutti quel che rimane dell’idea originaria di Umbria Jazz, magari tornando in occasione del cinquantennale al festival itinerante e magari ripercorrendo a ritroso la storia e ripartendo là da dove si era partiti nel 1973? Sarebbe una magnifica occasione per dimostrare al mondo la volontà di uscire dall’immobilismo e allo stesso tempo una sollecitazione agli enti locali del Ternano di uscire dall’impasse di Villalago, da anni bloccata dalla noncuranza e da contenziosi burocratici.

 

Video credit:

 

Chris Lloyd: “This is a film I helped to make for Jazz Times Magazine, the US voice for Jazz. I worked alongside OliviaMadeThis, Jazz photographer Tim Dickeson and Tom Conrad of Jazz Times”. 

 

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