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Analisi dell’Aur sulle fragilità persistenti della nostra scuola che il Covid ha fatto esplodere

Assolutamente aderente alla cronaca anche questo contributo che ci viene da Agenzia Umbria Ricerche a firma di Paolo Montesperelli, docente dell’Università La Sapienza di Roma, soprattutto perché va oltre il contingente, oltre la cronaca stessa, esaminando le endemiche carenze che la pandemia ha esaltato in negativo nel panorama scolastico. E il professor Montesperelli lo fa proprio analizzando un sondaggio effettuato un anno prima dell’arrivo dell’uragano Covid.

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La partecipazione nella scuola: i risultati di un’indagine

di Paolo Montesperelli

A parte lo sfrecciare delle ambulanze o l’affanno frenetico del personale sanitario, la pandemia sembra aver rallentato tutto, compresa la scuola. Non voglio entrare nel dibattito sulla sua riapertura a singhiozzo, sui meriti e sui limiti della didattica a distanza, sulle faglie aperte dal digital divide, etc. Affermo solo che, come capita per altri disastri, l’ingresso del Covid nella nostra società ha reso più evidente una certa fragilità, che già prima affliggeva la scuola.
Per appoggiarmi a qualche riscontro, mi avvarrò di un sondaggio, realizzato circa un anno prima che il Covid si insinuasse nella nostra società. Un anno non è molto, quando si tratta di rilevare gli atteggiamenti, cioè una delle componenti più stabili della personalità di ciascuno.
Grazie a insegnanti davvero in gamba, motivati, attivi, abbiamo intervistato oltre 1.200 studenti delle Scuole Superiori di tutta l’Umbria, quasi 300 loro genitori e circa 240 docenti. Questa triangolazione ha consentito una comparazione fra le tre componenti, un confronto utile e anche originale rispetto a tante altre ricerche concentrate invece solo sui giovani. L’argomento del sondaggio riguarda la valutazione del sistema di rappresentanza nella scuola; ma questo tema tocca, più a fondo, la vitalità interna alla scuola e la sua apertura all’esterno.
Partiamo dagli studenti. I ragazzi hanno tributato, quasi all’unanimità, un grande riconoscimento alle proprie famiglie, giudicate capaci di trasmettere i valori di una cittadinanza attiva e responsabile. Era scontata la fiducia ai massimi livelli, riservata alla propria famiglia: decenni di sondaggi lo confermano. Meno banale è il fatto che l’alto apprezzamento riguardi anche la partecipazione collettiva: così viene sfatata l’immagine dei genitori-chiocce e dei figli coccolati dalle correnti calde, emozionali, evasive, ovattate, garantite da famiglie chiuse come bastioni a difesa di tutto ciò che è esterno. Insomma, questo dato conferma quanto più volte l’AUR ha affermato: anche in fasi di crisi, le famiglie umbre non sono ripiegate su se stesse; tuttora svolgono una funzione sociale importante, proseguendo una lunga tradizione della nostra regione, in cui la famiglia – estesa o nucleare – svolge la funzione di cerniera fra l’individuo e la società.
Non è solo la famiglia a tingersi di rosa. Dal sondaggio emerge anche una visione serena del rapporto fra genitori e scuola, un’immagine lontana mille miglia da quella di insegnanti cerberi e di genitori castranti.
Ma allora dove alligna quella fragilità che accennavo prima? Dai dati sembrerebbe che la scuola disperda un po’ per volta il consenso di cui gode all’inizio: col passare dei cinque anni, la motivazione dell’alunno cala gradualmente; insomma, al crescere dell’età diminuiscono le valutazioni positive sulla scuola, sulla sua capacità di informare e di coinvolgere.
Un altro dato preoccupante: il 43% non ha votato mai o quasi mai nelle elezioni per gli organi collegiali. A mio avviso questa quota è estesa, e comunque più ampia rispetto a quella dei genitori (34%) e degli insegnanti (27%). Credo che questo disinteresse degli studenti sia dovuto anche a ragioni che hanno a che fare con la formazione: l’educazione civica è sparpagliata fra tanti insegnamenti diversi; la geografia sociale non viene insegnata perché è stata abolita la geografia tout court; perfino la storia è stata in bilico per un po’ di tempo e comunque raramente il suo insegnamento arriva ai tempi più recenti. Tutto ciò non agevola la maturazione civica dello studente.
Ma torniamo al sondaggio: pochissimi ragazzi (3,6%) partecipano ad associazioni studentesche, o vi hanno partecipato in passato (14%): anche qui si ha una indiretta conferma di alcune ricerche dell’AUR, circa il minore dinamismo della società civile umbra, specialmente nel protagonismo delle nuove generazioni.
Altra nota dolente, stavolta sui genitori, distinti per genere: i padri sembrano più assenti. Come per tanti altri aspetti della nostra società, ancora una volta sulle donne grava maggiormente la fatica dell’impegno. Infatti, rispetto ai padri, le madri manifestano più interesse; sono più informate; è maggiore la loro partecipazione sia attiva sia passiva agli organi collegiali; sono più coinvolte in associazioni, comitati, gruppi whatsapp.
Il punto che mi pare più vulnerabile è il rapporto fra stratificazione sociale – scuola – partecipazione. Tutte le ricerche sulla mobilità sociale dimostrano che la scuola non riesce ad annullare le disuguaglianze di opportunità originate dalla collocazione sociale delle famiglie. Ciò vale anche per il nostro sondaggio. Solo poco meno di un terzo degli studenti può contare su genitori con un livello medio-alto di scolarizzazione.  Questa matrice culturale si riproduce sul tipo di scuola frequentata: i genitori con istruzione medio-bassa sono più numerosi negli istituti professionali, e meno nei licei. Inoltre quei genitori hanno meno tempo, s’informano di meno, votano più raramente, non si candidano quasi mai.
A sua volta il livello socio-culturale dei genitori influisce sulle opinioni e sui comportamenti dei figli: a genitori con istruzione medio-bassa spesso corrispondono figli che conoscono meno le occasioni di partecipazione alla vita scolastica, partecipano in misura minore alle elezioni per gli organi collegiali, si impegnano ancor meno nelle associazioni, sono più critici e insoddisfatti.
Malgrado tutto ciò, la scuola è ben lontana dall’essere un’entità paralizzata dai suoi limiti. Al contrario, dai dati affiorano una tensione e un dinamismo, espressi da tutte e tre le componenti, ma soprattutto dagli insegnanti: sono loro – i “prof” – a dimostrarsi i più consapevoli, motivati, sensibili, attivi.
Sarebbe bene ripetere il sondaggio in questa nuova fase – quando la pandemia scuote anche la scuola – per confrontare l’oggi con il pur recente passato e per vedere se sono cambiate le tendenze che ho qui riassunto. Ma sarei propenso a credere che sia le fragilità, sia le potenzialità sono di così lunga durata da non essere sovvertite neppure dal Covid.

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