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Franceschini, le false ripartenze e le preoccupanti fughe in avanti dei volontari-guide nei musei

La nostra riflessione della domenica la riserviamo a un annuncio. Ve lo ricordate quello del ministro alla Cultura, Dario Franceschini, secondo il quale dal 27 marzo le regioni in zona gialla avrebbero potuto riaprire teatri e cinema; e i musei anche il fine settimana? Io sì. Credo, come me, molti. Anche tra quelli che, bontà loro, frequentano Vivo Umbria.

A oggi, tranne l’isola felice di bianco vestita, Italia continentale  e Sicilia compresa si coloreranno di arancione e di rosso. Di giallo, all’orizzonte, neanche l’ombra. E’ l’ennesima partenza annunciata. Ma falsa. “L’illusione è un sedativo” ha sentenziato il drammaturgo e sceneggiatore statunitense Herman Wouk; peccato che, per come siamo messi, avremmo bisogno di una cura massiva e non di una pilloletta. Il 27 marzo ce ne staremo a casa, con più marezza pensando che è la Giornata mondiale del teatro. E sarà così fino al 6 aprile. Meglio, dunque, sarebbe stato non fare previsioni azzardate. Spiazzanti e sconcertanti quanto più autorevole è la paternità di chi le enuncia.

Più opportuno osservare, nel caso del ministro alla Cultura, le preoccupanti fughe in avanti. E’ il caso di Milano. Il Comune ha pubblicato lo scorso 10 marzo un bando rivolto alle organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale che verranno impiegate nei siti culturali per comunicare “le principali informazioni ai visitatori per stimolare la curiosità e migliorare la fruizione del patrimonio”. Opereranno al Museo Francesco Messina, all’Antiquarium Alda Levi-Parco dell’Anfiteatro Romano, alla Casa Museo Boschi Di Stefano, alla Scuola di Ceramica Marieda Di Stefano, alla Cripta di San Giovanni in Conca, alla Collezione Grassi-Vismara e ai depositi del Mudec. A disposizione il Comune mette 236mila euro spalmate su tre anni che serviranno per i rimborsi spese dei volonterosi volontari dell’arte.

Ovviamente il bando sui social ha prima creato una emozionale ondata di protesta, poi una razionale riflessione. Dalla quale è scaturita una petizione. Primo firmatario il movimento ‘Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali’,  i professionisti della cultura chiedono il ritiro del bando. E motivano: “Se l’affidamento a volontari di attività importanti e cruciali quali la tutela e la valorizzazione del nostro patrimonio culturale era inaccettabile in un’era pre-Covid, diventa assolutamente scandalosa in questo momento, quando lavoratori e lavoratrici del settore sono rimasti a casa per un anno, sopravvivendo con misere casse integrazioni o ristori, arrivati sempre troppo tardi, quando sono arrivati. Come può un lavoro svolto da volontari, personale non retribuito e non qualificato, aiutare concretamente sul lungo periodo la ripartenza dei luoghi della cultura milanesi? Soprattutto quando il Comune è disposto a mettere in campo 263 mila euro”. Chiedono nell’ordine il ritiro del bando; un cambio di rotta a sostegno del lavoro qualificato e correttamente retribuito in questo delicato periodo storico;  il sostegno alle direttrici e ai direttori dei luoghi della cultura di sostenere il ritiro dell’avviso pubblico in modo da porre un freno alla piaga del lavoro gratuito mascherato da volontariato e infine il sostegno  di tutte le professioniste e i lavoratori di supportare le richieste per il bene del patrimonio culturale e del lavoro”.

C’è a nostro avviso un dato di fatto: al di là delle autonomie che i vari enti possono far valere perché spesso in difficoltà economico-gestionali, serve una legislazione adeguata, puntuale, stringente che sancisca nel concreto che la cultura ha un effettivo valore e, di conseguenza, un costo. Che va adeguatamente riconosciuto e regolarmente pagato. E sarebbe opportuno agire subito in questo senso perché la fame è tanta e tanti gli affamati dopo un così prolungato digiuno. Non basta garantire saltuariamente un pasto caldo.

Una fuga in avanti come quella del Comune di Milano, al di là delle motivazioni che possono averla prodotta, può  provocare una brusca sbandata. Si chiama deriva sociale.

 

 

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