Una rivendicazione dell’entità teatro. Una orgogliosa richiesta di tempi necessari per studiare, scrivere, rappresentare. No al teatro fast food, alla messa in scena in 21 giorni. Liv Ferracchiati a Ricomincio da Rai Tre ha portato se stesso. Non tanto o soltanto un brano del suo “La tragedia è finita, Platonov” che, pure introdotto da personaggi in costume fine ottocento e terminato con passi di musica a ritmo house ha indubbiamente colpito il pubblico, ma ha rappresentato i tanti perché del suo credere nel lavoro che fa. Di fatto spiegando allo stesso tempo i motivi per i quali questa sua ultima messinscena prodotta dalla Stabile dell’Umbria ha suscitato così tanto interesse da ottenere il premio della menzione speciale alla Biennale di Venezia 2020.
Detto che a recitare con lui sul palcoscenico di Rai Tre ieri sera c’erano Riccardo Goretti e Petra Valentini, senza tirarsela ma con estrema chiarezza Liv Ferracchiati ha fatto capire al pubblico che lui è un regista, autore, attore che vuole portare contenuti nuovi e profondamente consapevoli di ciò che va in scena. Nessuna scorciatoia “La prima prima volta che ho letto Platonov – ha spiegato – avevo 27 anni, era il 2013. Due anni fa il primo confronto delle traduzioni, poi l’approfondimento di un autore sterminato qual è Cechov, una cinquantina di giorni per le prove. Sì, ci vuole tempo. Non deve accadere mai più di portare in scena un lavoro in 21 giorni, dovremmo tutti opporci a questa politica. Personalmente scrivo i testi con gli attori e quindi ci vuole il tempo che ci vuole, per questo occorre dare spazio ed economie a un teatro che richiede più tempo”.
Contenuti. Non parole. Per il bene del teatro. E anche nostro, di pubblico pensante.