PERUGIA – Eugenio Finardi. Basta questo per dire che stasera 5 settembre il Barton Park Fest propone, grazie all’associazione Moon in June di Patrizia Marcagnani, un vero e proprio evento per i cultori della buona musica. Una carriera, quella di Finardi, durante la quale ha scritto brani che sono entrati nel cuore della gente. E non se nono più andati. In questa intervista abbiamo ripercorso anche un po’ del suo passato, fatto di gavetta come fonico dei Pooh, di esperienze discografiche esaltanti ai tempi della Cramps, di incontri importanti con Alberto Camerini, Franco Battiato, Pierluigi Calderoni. Non si è fatto fermare neanche durante il lockdown periodo nel quale ha composto il brano “Milano chiama”. E si è messo pure a costruire chitarre. Insomma, Eugenio Finardi tra passato, presente e futuro in questa intervista che abbiamo realizzato per Gruppo Corriere e che proponiamo ai lettori di Vivo Umbria.
Iniziamo da questa sua vena da liutaio?
“Premessa: mai fare ordini on line se sono le 4 del mattino e assicurarsi, prima, dell’assoluta sobrietà dell’odinante”.<CF1403>
Perché cosa è accaduto?
“Che mi sono arrivati a casa 22 corpi di chitarra elettrica Fender. Ad annunciarmeli il volto del portiere del mio palazzo”.
Però l’ordine, al di là del quantitativo, lo aveva fatto e un motivo ci deve essere.
“Questo sì. Ho sempre aspirato alla commistione delle arti e mi ero messo in testa di far dipingere il corpo di una elettrica a pittori e amici artisti”.
E cosa è accaduto?
“Che di artisti a Milano durante il Coronavirus non ce n’era più uno. Erano tutti andati fuori. E così è iniziata l’avventura”.
Fender griffata Finardi: le piacerebbe che la suonasse?
“Nessuno dubbio: Keith Richards, Rolling Stones”.
A proposito di chitarristi doc: lei ha sempre detto che le sarebbe piaciuto fare con la chitarra di tutto, ma che è costretto… a fare quello che può.
“Ci sono prerogative per ciascun musicista. Personalmente ho limiti nel gestire la chitarra in un certo modo. Consapevole di quello che so fare, ho deciso di prediligere lo studio delle e la ricerca delle sonorità che piacciono a me”.
Passo indietro: in cosa consisteva la musica ribelle di ieri e come si manifesta oggi?
“E’ una questione di linguaggi oltre che di periodi storici che indubbiamente hanno un peso. Vanno considerati in questa ottica, certo per quello che riguarda i miei esordi ricordo che era contrassegnato dalla coralità del lavoro all’insegna della totale libertà di chi ne era protagonista. Così è stato per ilmio primo lavoro del 1975 ‘Non gettare alcun oggetto dai finestrini’ al quale hanno partecipato Alberto Camerini e Franco Battiato. E poi è stato con Calderoni e così via negli anni”.
Tempi mitici…
“Fare musica insieme era una situazione di fatto determinata dalle stesse case discografiche che avevano artisti scritturati, nel nostro caso la Cramps per fare un esempio”.
A proposito di tempi. Non l’ha fermata nemmeno il Covid e ha lanciato un appello con il suo nuovo singolo “Milano chiama”. Chi risponde?
“Prima di tutto noi stessi. Noi italiani. Siamo quelli che in Europa hanno sofferto del primo impatto tragico del Coronavirus e, nonostante qualche errore forse inevitabile, abbiamo saputo reagire. In questo brano entra la difficoltà di comunicazione con l’altro, ma anche l’energia, la poesia, l’ironia e anche la volontà di interrogarci e comprendere cosa ci è accaduto e cosa fare prima che sia troppo tardi”.
Che rapporto ha instaurato con Covid-19?
“Prudenziale. Bene o male ho 68 anni”.
Veniamo a questa tournée acustica. Con lei sul palco ci sono Giovanni “Giuvazza” Maggiore alle chitarre e Federica Finardi Goldberg al violoncello.
“Coerente al momento. Un concerto intimo, essenziale. Canzoni e racconti tratti da un repertorio che cerca soprattutto in questo particolarissimo momento la sintonia con il pubblico. Un concerto spontaneo”.
Arriva in Umbria, a Perugia. Non proprio una tappa nuova.
“Difficile trovare un posto nel quale non sono stato”.