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Eugenio Guarducci sul Todi Festival: "E' il nostro miracolo laico"

TODI – Si è aperto ieri sera al Teatro comunale con lo spettacolo “Era un fantasma”, la XXXIV edizione del Todi Festival. Un’edizione ridotta nella sua durata – quattro giorni invece dei tradizionali otto – ma ricchissima di iniziative varie. Ne parliamo con il direttore artistico Eugenio Guarducci.
Il manifesto che rinvia la Tempi della Consolazione e che simboleggia il Rinascimento, ma un Rinascimento rivisto e impacchettato, incellophanato, come a rappresentare la tradizione storico-artistica riadattata a postmodernità…
“E’ un simbolo che sottolinea più di ogni altro il Rinascimento culturale contemporaneo. Con il Todi Festival si vuole anche dimostrare una ripartenza, un nuovo fronte che si apre anche sul versante culturale”.
Quest’anno sono quattro giorni, rispetto ai tradizionali otto del Todi Festival. Ma quattro giorni molto intensi, ricchi di varie iniziative. Quando avete avuto la sicurezza di dare vita alla XXXIV edizione del Todi Festival. E quali sono state le principali difficoltà incontrate nell’organizzare un festival in era Covid?
“Intanto noi non abbiamo mai smesso di lavorare anche durante il lockdown, pensando che il Festival si facesse, quindi anche durante il lockdown siamo andati avanti con i contatti, con le compagnie e con quelle situazioni che avevamo già interloquito in precedenza già al termine dell’edizione del 2019. La difficoltà è stata purtroppo adattare e selezionare le iniziative non spalmate su otto giorni ma su quattro. Quindi quello che vedremo sarà il meglio di quello che avevamo scelto in precedenza. E’ stato un po’ triste dire no ad alcune proposte, ma ci siamo riservati di ritrovarci con questi interlocutori per le prossime edizioni. Noi abbiamo saputo di poter procedere alla fine del mese di maggio e quindi da quel momento in poi in stretto contatto con quelle che ritenevamo potessero essere le proposte più interessanti siamo arrivati a presentare il programma di luglio”.
 

 
Quattro debutti nazionali, una sezione di teatro contemporaneo, le master class, un’iniziativa editoriale per aspiranti giornalisti, la rassegna Around Todi che fa riferimento a due altri simboli, uno contemporaneo come è ornai diventato il Centro Dca – disturbi del comportamento alimentare, e il simbolo tuderte tradizionale di Jacopone. Un’edizione molto articolata, ma al quinto anno di direzione artistica di Eugenio Guarducci, cosa pensa Eugenio Guarducci dell’ipotesi di una produzione originale del Todi festival nell’ambito teatrale?
“Abbiamo realizzato nel passato già alcune coproduzioni con altri soggetti, altri teatri, altri stabili. Ma ora per cominciare a pensare ad una progettualità più ampia del Todi Festival, è necessario fare quel percorso di stabilità che avevamo iniziato l’anno scorso quando io dissi apertamente al Comune di Todi che si sarebbe dovuto scegliere: o un altro interlocutore, o all’interlocutore che avete, vale a dire il sottoscritto, gli assicurate un rapporto di almeno tre anni, sino a fine legislatura quindi, perché questo consentirebbe di dare stabilità al percorso creativo e anche di pensare progettualità più ampie”.
Da questo punto di vista ci sono prospettive per i prossimi anni per quanto riguarda la direzione artistica?
“In effetti penso che ci ritroveremo alla “fine della fiera” a fare un consuntivo tra noi e il Comune che avrà sempre da parte nostra la disponibilità di farci da parte perché questi sono incarichi che non possono essere tenuti a vita, e laddove il Comune lo ritenesse utile siamo disponibili ad affrontare di nuovo la programmazione, anche se lo stesso Comune deve sentirsi libero di poter fare le proprie scelte e chiaramente le scelte saranno basate anche sul risultato sull’edizione che si apre oggi”.
Tra l’altro c’è anche una sezione dedicata ai bambini, Todi Festival Kids…
“Un’iniziativa cha abbiamo creato sin dall’inizio e dedicato alle famiglie che possono vivere con questi spettacoli il festival da un’angolazione diversa. Chiaramente quest’anno avremo sold out dappertutto non perché siamo bravi, ma perché i teatri, gli spazi, i contenitori, sono indicati a duecento persone per volta, quindi abbiamo un problema diverso, perché poi tra tecnici e artisti queste 200 persone diventano 180, 185 al massimo. Credo che noi abbiamo fatto una specie di miracolo “laico” – e lo dico da ateo quale sono – perché siamo riusciti, anche grazie al sindaco Ruggiano e al Comune che ci hanno messo il cuore e il coraggio, a intraprendere un’operazione che mote città in tanti altri luoghi d’Italia hanno rimandato a tempi migliori”.
 

 
 
Si può dire che questa edizione è un’edizione di passaggio sperando che le cose cambino anche dal punto di vista del Covid?
 
“Credo che questa sarà l’edizione che ricorderemo di più perché affrontata in una situazione emergenziale, ma anche con uno spirito mai di rinuncia e molto battagliero. Ma soprattutto quel che più ci rimarrà impresso nella memoria sono i colloqui condotti con i tecnici, con coloro che sono i protagonisti dietro le quinte, tecnici, luci, suoni, allestimenti a cui brillavano gli occhi nel momento in cui si parlava del Todi festival, perché queste persone sono state quelle più colpite durante la Fase 1 e la Fase 2 e ancora oggi vivono situazioni di forte disagio dato che il lavoro non c’è per tutti e che le protezioni di welfare a loro dedicate sono state molto blande”.
 
Diciamo in particolar modo che il settore dello spettacolo è stato il primo ad essere limitato dalle pur necessarie norme anti-Covid e l’ultimo a ripartire…
“Era giusto che fosse così, però probabilmente va rivisto il problema della rappresentatività dal punto di vista sindacale di queste categorie. Probabilmente un problema preesistente al Covid che lo stesso Covid ha evidenziato con più forza. Non sono forse ben rappresentate le istanze di questi lavoratori, e non c’è qualcuno, come per esempio anche per i riders, che non hanno avuto molto ascolto, che rappresenti degnamente queste categorie di lavoratori e forse le responsabilità sono da individuare anche agli stessi lavoratori che non hanno saputo organizzarsi in forme di rappresentanza significative”.
 
A questo punto di cosa ha bisogno il Todi Festival per spiccare definitivamente il volo?
“Avrebbe bisogno di Roma, ma al di là delle distanze, avrebbe bisogno di ulteriori risorse finanziarie. Anche se devo dire che il Todi festival ha conquistato una reputazione invidiabile. Questo significa che quello che era il timore di alcuni che arrivasse il “cioccolataro” che avrebbe cambiato tutto nel giro di pochi istanti andando incontro a un sicuro fallimento, non è successo e anzi il Todi Festival si è rafforzato anche da un punto di vista della comunicazione e del brand. Tutta la stampa nazionale ci segue – poco prima ha rilasciato un’intervista a Radio Vaticana e devo dire con una certa emozione… C’è un’audience interessante e se avessimo un budget più importante per progettare e produrre spettacoli anche più complessi, di sicuro il Todi Festival seguirebbe un percorso diverso e forse molto più importante…”.
Per quanto riguardo la musica, la scelta è caduta su Max Gazzè…
“All’inizio avevamo altre idee rispetto al tradizionale concerto di chiusura del festival. Poi queste idee sono rientrate quando è successo quel che sappiamo, ma soprattutto quando un artista, insieme a pochi altri artisti in quel momento, ha deciso di sfidare la sorte e di andare in piazza a cantare e nel far questo ha capito che quelle che erano le richieste economiche rispetto a queste produzioni, dovevano essere riviste a partire dal proprio cachet, perché è chiaro che in una piazza dove entrano al massimo mille persone, non si può pretendere lo stesso cachet di prima. Questo lo ha fatto, e però lo ha fatto, ma con modalità molto significative non ha ridotto il numero di artisti che saliranno con lui sul palco e non ha ridotto lo staff tecnico e questo è un fatto che va particolarmente apprezzato, perché è un artista che si è posto il problema che è anche quello di tanti operatori del settore dell’industria creativa – che non solo fanno divertite come ha detto qualcuno – ma creano anche un po’ di quel Pil molto importante per una regione come la nostra che di quel Pil in futuro dovrà sicuramente campare”.

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