Occhialino tondo, papillon in tinta con i colori sgargianti dell’abbigliamento definivano immediatamente una eccentricità votata all’arte. Un magnetismo che chiedeva attenzione per ascoltare un modo di raccontare pittura, scultura, il genio creativo. Volto notissimo in tv, vero divulgatore alla maestro Manzi per la sua signorilità e pacatezza, Philippe Daverio era lontano dagli eccessi verbali, dalle diatribe violente che talvolta pure l’arte può indurre. Basso profilo, grande competenza. Ha affrontato con la stessa cifra e dignità la fine della sua vita minata da un tumore che ha vissuto privatamente. Come tanto altro. La notizia della sua morte, proprio per tutte queste cose, ci fa particolarmente male.
La vita e la sua carriera
Nato il 17 ottobre 1949 a Mulhouse, in Alsazia, è stato anche assessore del Comune di Milano dal 1993 al 1997 nella giunta Formentini, con le deleghe alla Cultura, al Tempo Libero, all’Educazione e Relazioni Internazionali, e si è occupato della ricostruzione del Padiglione d’Arte Contemporanea distrutto a seguito dell’esplosione della bomba avvenuta il 27 luglio 1993 partendo dalla ricerca degli sponsor al coordinamento degli interventi sia tecnici sia amministrativi.
Daverio ha trascorso tutta la sua vita con l’arte. Malato da tempo di tumore, non aveva mai parlato pubblicamente della malattia, e a ottobre avrebbe compiuto 71 anni: si è spento nella notte scorsa all’Istituto dei Tumori di Milano, dove era ricoverato. Per il mondo dell’arte è una perditaimportante. E’ stato gallerista ed editore di primo piano, con oltre cinquanta titoli. Nel 2008 era stato nominato direttore della rivista d’arte ’Art e Dossier’. I suoi insegnamenti sono entrati nelle università di tutta Italia, con il corso di Storia dell’arte presso lo Iulm di Milano e quelli di Storia del design presso il Politecnico di Milano. Dal 2006 era professore ordinario di Disegno Industriale presso l’Università degli Studi di Palermo. Sempre molto diretto sul non essersi mai laureato, nel 2013 ha ricevuto dal presidente della Repubblica il Cavalierato delle Arti e delle Lettere e la Medaglia d’Oro di benemerenza del Ministro per i Beni Culturali, e sempre nel 2013 è stato insignito dal presidente della Repubblica francese della legion d’onore. Ma è con la televisione che gli italiani hanno conosciuto le sue grandi capacità divulgative: nel 1999 era in onda come inviato della trasmissione Art’è su Raitre, l’anno dopo è stato autore e conduttore della trasmissione Art.tù, poi dal 2002 al 2012 è diventato autore e conduttore di Passepartout, programma d’arte e cultura poi divenuto Il Capitale, e dal 2011 del Emporio Daverio per RAI 5. Questa era un vero e proprio invito al viaggio attraverso le città dell’Italia, un’introduzione al museo diffuso e uno stimolo a risvegliare le coscienze sulla necessità di un vasto piano di salvaguardia culturale. Tra i suoi ultimi lavori, la rubrica per ’Striscia la Notizià, in cui curava la pagina dedicata ad arte e territorio, e proprio nella mattina di ieri 1 settembre i social del programma di Antonio Ricci avevano pubblicato il suo servizio su curiosità e segreti dell’Opera di Parigini, con tanto di aneddoti du Raffaello e Monet. Milano in particolare piange una figura di primo piano nel mondo della cultura cittadina: è stata proprio la direttrice e regista teatrale del teatro Franco Parenti Andree Ruth Shammah a rendere pubblica la notizia della sua morte, la notte tra l’1 e il 2 settembre all’Istituto dei Tumori di Milano. Daverio era diventato assessore del Comune di Milano con delega alla cultura nel 1993 (nella giunta Formentini) e aveva partecipato alla ricostruzione del Padiglione d’Arte Contemporanea distrutto nell’attentato di via Palestro del luglio ’93. Nel settembre 2014 è diventato direttore artistico del Grande Museo del Duomo di Milano, e dal 2015 membro del Comitato scientifico della Pinacoteca di Brera e Biblioteca nazionale Braidense. Se ne è andato un traduttore di arte pacato, signorile nel portare la sua competenza, scevro dalle polemiche consapevole della sua grande conoscenza ma modesto nel riconoscerne i possibili e inevitabili limiti.