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Quelle statue in città che ispirano l'effetto rimozione

PERUGIA – Nelle città che abitiamo, capita spesso di calare l’attenzione: per abitudinarietà, per fretta, per distrazione. Ma le città della postmodernità risultano agli occhi attenti come quell’affastellato di segni e simboli, di monumenti, di topoi che da un lato ricollocano il nostro passaggio come davanti a qualcosa di estremamente familiare, dall’altro lo rendono paradigmatico per l’orientamento. Ma i segni e con essi i simboli come sottende l’etimo del termine simbolo, sono espressione di due aspetti: ad un aspetto noto, riconosciuto e condiviso, ne corrisponde un altro nascosto che soltanto in un reincontro o in una reinterpretazione può rendersi palese alla nostra coscienza. I monumenti che costellano le città del mondo sono carichi di significato e di un simbolismo che caratterizzano anche la varietà delle epoche storiche in cui sono stati eretti. E’ come se la città si componesse di “strati” con diversi parametri di riferimento storici e culturali. Nella distrazione dei nostri ritmi di vita quella stratificazione diventa abituale, sino a che non emerge da quel monumento-simbolo anche quella parte che per anni e anni è stata rimossa, ma che pure persisteva a formarne anche l’aspetto più profondo, come un simbolo che riunisce in sé una parte palese e l’altra nascosta. Sino a che la coscienza si risveglia e la nostra psiche trasforma quel simbolo morto, quel monumento in un simbolo vivo e carico di significati nuovi, riscoperti o riesumati dal nostro inconscio. A Milano è capitato alla statua di Indro Montanelli, per anni celebrato come figura insigne del giornalismo italiano, di essere rivalutata come “monumento” che offende la dignità culturale italiana e soprattutto quella delle donne; come se, dopo tanti anni, apparisse chiaro che di quel “maestro di giornalismo” si sono sottovalutati alcuni aspetti che ora diventano indegni per erigerlo a simbolo. Un uomo che in tarda età si è fatto vanto di aver prima comperato e poi sposato, in gioventù, una ragazza abissina di appena dodici anni e di aver indugiato su alcuni particolari sessuali che esaltavano il piacere di avere rapporti con questa ragazza-bambina. Ma se è vero che la storia include in sé un aspetto dinamico e relazionato al tempo in cui certi fatti ed episodi vanno collocati, rimane la pessima umanità con cui quella storia, seppure scritta benissimo, come solo Montanelli sapeva fare, è stata raccontata. Al di là dell’episodio accaduto alla statua di Montanelli imbrattata con vernice che è stata subito rimossa, la brutale morte di George Floyd, l’afroamericano ucciso dalla polizia di Minneapolis nel Minnesota, sembra aver scaturito un effetto di rimozione collettiva che, dopo aver coinvolto l’intero pianeta in dimostrazioni di protesta, ha assunto ora come oggetti di una furiosa iconoclastia le statue e i monumenti di alcuni dei protagonisti della storia a stelle e strisce che non appaiono più degni di rappresentare la nuova coscienza condivisa che si sta formando. L’ultimo monumento fatto oggetto di un tentativo di abbattimento, represso dalla polizia, è avvenuto a Washington, a due passi dalla Casa Bianca. Si calcola che fossero circa duecento i manifestanti che hanno scatenato la loro rabbia sulla statua di Andrew Jackson, il settimo presidente degli Stati Uniti che durante il suo mandato tra il 1829 e il 1837 ordinò la deportazione forzata di nativi americani dalle loro terre. Al di là dell’aspetto puramente politico del tentativo di abbattimento di un “simbolo” reso avverso a molti perché preso a riferimento da Donald Trump come proprio idolo, in effetti la rimozione in atto è culminata nel momento in cui una parte dell’opinione pubblica americana comincia a non tollerare più soprusi di alcun tipo né passati né attuali, come la morte procurata a George Floyd. Ma è una rimozione partita da lontano, quando già negli anni Novanta e all’alba del nuovo millennio gli “eroi” della nuova frontiera come John Wayne, descritti dal Western classico, cominciarono a crollare con la ricollocazione del mito del cow boy in un ambito più ambivalente e non privo di contraddizioni. Anche la statua di Teddy Roosevelt a New York è oggetto di protesta, tanto che il Museo di Storia Naturale di New York la rimuoverà dal suo ingresso davanti a Central Park. Ancora incerta invece la sorte della statua del generale sudista Robert Lee e quella del nostro Cristoforo Colombo (già abbattuta a Saint Paul, nel Minnesota) considerate simboli del razzismo e del passato coloniale.
Intanto la reazione di Trump non si è fatta attendere. In un tweet ha dichiarato di aver “autorizzato il governo federale ad arrestare chiunque vandalizzi o distrugga qualsiasi monumento, statua o altra proprietà federale negli Stati Uniti con un massimo di 10 anni di carcere”.

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