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L'Umbria bella e sicura alla prova dell'attrattività

PERUGIA – In uno studio condotto da Elisabetta Tondini e Mauro Casavecchia per conto dell’Agenzia umbra ricerche (Aur), vengono analizzati i fattori che potrebbero contribuire allo sviluppo del settore turistico in una regione che non ha mai sofferto del fenomeno del sovraffollamento. “Potrebbe essere la volta buona – scrivono i due ricercatori – per diventare attrattivi per molti. Gli elementi di appeal ci sono tutti: benessere, sicurezza, sostenibilità, grandi spazi aperti, ampia offerta di eccellenze tipiche, approccio slow. Sono passati solo pochi mesi da quando nei dibattiti di settore si parlava con preoccupazione di overtourism, cioè di quel fenomeno di sovraffollamento che affliggeva alcune destinazioni turistiche prese d’assalto da masse di visitatori incontrollate. L’Umbria, che non ha mai conosciuto problemi di sovraccarico da questo punto di vista, oggi può giocare la sua carta di regione di nicchia, fuori dai circuiti più gettonati e, proprio per questo, ambita. L’immagine di cuore verde d’Italia si sposa perfettamente con le tendenze in atto, che fanno riferimento al concetto di undertourism, un turismo lento, che privilegia località meno note e frequentate, la campagna, i borghi, le esperienze e le attività all’aria aperta. E l’annoso isolamento della regione una volta tanto può rivelarsi addirittura un vantaggio competitivo, anche perché gli spostamenti privilegeranno probabilmente l’automobile rispetto a treni o aerei.
Il momento attuale costituisce dunque un punto di svolta decisivo, che dovrà essere gestito con attenzione. Occorrerà rendere il soggiorno piacevole pur con le limitazioni dovute all’emergenza sanitaria. E combinare la sicurezza con una offerta soddisfacente, in Umbria, è possibile.
D’altra parte il turismo rappresenta per la regione un pilastro fondamentale. Il valore aggiunto prodotto dalle attività del comparto assomma infatti circa il 6 per cento del totale dell’economia e arriva al 13 per cento includendo gli effetti indiretti e l’indotto.
Molte sono le interconnessioni con gli altri settori: è stato calcolato che per 100 euro spesi da turisti italiani e stranieri oltre un terzo va alla ricettività, 13 euro alla ristorazione, 12 al commercio, 7 al trasporto aereo, 6 agli altri mezzi di trasporto, 4 all’intermediazione, 3 ai servizi culturali e ricreativi, 20 ad altri tipi di servizi.
La sola ricettività in Umbria vanta una varietà di offerta quantificabile in 508 alberghi e residenze d’epoca e 4.900 esercizi extra-alberghieri, all’aria aperta e locazioni turistiche, per un totale di 95.390 letti, con un indice medio di utilizzo di 34,3 nell’alberghiero e di 15,5 nell’extra-alberghiero.
Un potenziale lontano dal pieno sfruttamento, se è vero che, nonostante la ricchezza del patrimonio storico e artistico e valutazioni dei turisti sulla gradevolezza della propria esperienza tra le più positive in Italia, negli ultimi anni l’espansione in Umbria dei flussi è stata decisamente modesta rispetto a quella osservata nel resto del Paese.
Se questa era la situazione pre-Covid-19, oggi il paradigma è completamente cambiato: a partire da febbraio, la diffusione dell’epidemia ha prima rallentato e poi azzerato i flussi. Quello turistico è il settore che si è bloccato per primo e sarà l’ultimo a ripartire e probabilmente anche quello al quale occorrerà più tempo per recuperare. Non è un caso che tutte le stime settoriali collocano al primo posto per perdita di fatturato e valore aggiunto il settore della ricettività e ristorazione, quello più coinvolto dalla domanda turistica.
Qualche dato per stimare le perdite di fatturato della primavera 2020. Nel solo trimestre marzo-maggio l’Umbria registra annualmente circa il 23 per cento del totale di presenze turistiche. Perdite più consistenti potrebbero aver riguardato le strutture alberghiere, che concentrano in questo periodo il 26 per cento delle presenze annuali, a fronte del 19 per cento dell’extra-alberghiero. In particolare, per il segmento del turismo straniero questo trimestre incide per il 21 per cento.
Nei prossimi mesi, forse anni, il turismo straniero sarà molto ridotto e il settore continuerà a subire forti contraccolpi, visto che in Umbria quasi due quinti delle presenze sono assicurate da chi proviene dall’estero.
Quando ricomincerà a muoversi, il turismo interno potrà compensare in parte la perdita del turismo straniero. Una parte degli italiani potrebbe infatti decidere di fare in Italia le vacanze che avrebbe fatto all’estero. Si parla di turismo di prossimità o di staycation, ovvero forme di viaggio concentrate prevalentemente entro i confini nazionali e di breve-medio raggio.
È probabile che la stagione si concentrerà sul mercato domestico e favorirà soluzioni indipendenti, con grandi spazi all’aperto, magari in strutture con piscina (ve ne sono oltre 4 mila in Umbria).
Secondo una recente stima, il turismo di prossimità degli italiani potrebbe compensare almeno del 30% il crollo dei turisti stranieri, attraverso una spesa di quasi 21 miliardi di euro. L’Umbria beneficerebbe di una quota significativa di queste presenze turistiche e della relativa spesa, pari al 3,1%, più che proporzionale al suo peso demografico ed economico.
In questo scenario, per i territori a più basso rischio di contagio sarà relativamente più facile ripartire. Ma sarà necessario riscrivere completamente le modalità di fruizione dell’offerta turistica. In che modo?
Le strategie comunicative dovranno privilegiare gli aspetti della rassicurazione, sia dal punto di vista della sicurezza dei percorsi offerti, delle strutture e del territorio, sia da quello della flessibilità delle prenotazioni e delle possibilità di annullamento.
Sarà importante ideare nuove forme di comunicazione in grado non solo di rassicurare ma anche di puntare sull’emozione e sul coinvolgimento, come sta già facendo lo spot promozionale attualmente in programmazione sulle reti nazionali.
Potrebbe essere utile ideare certificazioni specifiche per attestare la sicurezza sanitaria delle strutture ricettive, come hanno cominciato a fare alcuni operatori.
Affinché l’”isola verde” Umbria possa mantenere nel tempo la sua patente Covid-free, un’altra idea interessante, che anche altre regioni stanno valutando, è la possibilità di richiedere ai visitatori in arrivo un certificato recente di negatività al virus, il cui costo potrebbe essere rimborsato tramite voucher per servizi turistici da spendere in loco. Una misura che rafforzerebbe l’immagine pubblica di regione sicura, tutelando al contempo anche i residenti.
Naturalmente non va poi dimenticato un massiccio utilizzo degli strumenti e dei contenuti digitali, a partire dal supporto alle fasi di selezione della meta, di prenotazione, di ricerca di informazioni in loco.
Sarebbe anche il momento per gettare le basi per un turismo meno sporadico e più continuativo e mettere a punto nuovi modelli di fruizione basati su una integrazione tra tecnologie digitali, prodotti e fattori territoriali, che riesca a combinare esperienze prima del viaggio, quelle di un soggiorno ricco di opportunità e la possibilità di acquisti continuativi nel tempo di prodotti tipici, anche dopo la fine della vacanza. Oppure iniziative di fidelizzazione del visitatore attraverso l’accumulo di “crediti” per ottenere tariffe agevolate o altri vantaggi per successivi soggiorni, su cui altri stanno già provando a ragionare.
Insomma, l’Umbria ha le carte in regola per giocarsi la partita e provare a intercettare quel po’ di turismo che si muoverà quest’anno. L’esito della scommessa dipenderà da un insieme di fattori poco prevedibili o controllabili, quali l’evoluzione del contagio, le percezioni sulla sicurezza sanitaria, la reale volontà di spostarsi, la disponibilità di reddito, le incertezze lavorative.
Ad oggi è prematuro fare previsioni. Una cosa è certa: la strada verso una accoglienza bella e sicura è quella da percorrere.

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