Se l’attività onirica è un lavoro di riconfinamento continuo della coscienza ispirata dalle pulsioni inconsce; se l’inconscio collettivo, teorizzato da Carl Gustav Jung rappresenta l’individuazione dei paradigmi della coscienza collettiva attraverso i grandi sogni condivisi e condivisibili dall’intero genere umano, come si manifestano gli effetti della privazione delle libertà individuali sulla nostre psiche e quali sono le caratteristiche di quel riconfinamento in avanti capace di elaborare il nostro inconscio in era Covid?
Secondo le più recenti teorie di studiosi ed esperti le percezioni della vita quotidiana, durante il sonno vengono “rielaborate” dal nostro inconscio secondo un ordine casuale. Ne deriva che il nostro inconscio lavori come una centrifuga in grado di depurare la psiche e che la condizione di “cattività” del coronavirus, con centinaia di milioni di persone costrette ad essere prigioniere in casa, riduca di molto le percezioni della vita quotidiana; il nostro inconscio di conseguenza “guarda” lontano ad esperienze pregresse, anche in periodi molti distanti dal presente in una sorta di dejà vu senza soluzione di continuità.
Se il sogno è traumatico e doloroso ciò è dovuto anche al livello di stress causato dalla condizione di restrizioni del virus che, nella sua invisibilità, diventa minaccia che può assumere le sembianze più varie e minacciose, soprattutto per gli operatori sanitari che vivono a stretto contatto con la malattia causata dal Covid.
Come abbiamo già scritto su Gruppo Corriere, secondo uno studio in corso presso il Lyon Neuroscience Research Center in Francia, avviato a marzo, la pandemia di coronavirus ha causato un aumento del 35% nel ricordo dei sogni tra i partecipanti, che riportano il 15% in più di sogni negativi rispetto al normale. Un altro studio promosso dall’Associazione Italiana di Medicina del Sonno sta analizzando i sogni degli italiani confinati durante l’epidemia. Molti dei soggetti riportano di avere incubi e parasonnie (risvegli bruschi durante la notte) in linea con i sintomi del disturbo post traumatico da stress.
“Quando qualche anno fa abbiamo studiato i sogni dei sopravvissuti al terremoto dell’Aquila del 2009, non ci ha sorpreso rilevare che i disturbi del sonno e gli incubi dipendevano strettamente dalla vicinanza all’epicentro del sisma” dice Luigi De Gennaro, professore di psicologia fisiologica all’Università di Roma che sta lavorando allo studio italiano sul coronavirus, “in altre parole, la mappa sismica praticamente corrispondeva a quella dei disturbi del sonno”. Secondo uno studio condotto dall’Associazione italiana per la ricerca e l’eduzione nella medicina del sonno, la pandemia di Covid-19 ha radicalmente modificato la nostra quotidianità, i nostri ritmi di vita, creato motivi di ansia, stress e alterazione dell’umore che hanno inciso sul nostro benessere e sul nostro sonno. L’indagine conoscitiva su un campione nazionale di mille persone, ha evidenziato che, se il totale delle ore di sonno notturne resta sostanzialmente immutato, sono invece cambiati gli orari del coricarsi e del risveglio. E ancor più sensibilmente si è modificata la qualità percepita del sonno, giudicata, da oltre la metà degli intervistati, “abbastanza o molto cattiva”.
I dati evidenziano che le persone sono andate a letto, in genere, almeno una-due ore più tardi rispetto al periodo precedente al Covid e impiegano più tempo per addormentarsi. Il 50% di coloro che si addormentavano in 15 minuti ora si addormenta più lentamente, ed è notevolmente aumentata la percentuale di coloro che ci impiegano più di un’ora. Anche il risveglio è ritardato di una-due ore, lasciando quindi immutato il tempo totale di sonno, ma si evidenzia una tendenza alla diminuzione.
Cambia sensibilmente, invece, la qualità del sonno, che passa da “molto buona” per il 17% degli intervistati all’8,2% attuale. Risulta “abbastanza buona” per il 39,6%, mentre prima lo era per il 64,9%. E’ giudicata “abbastanza cattiva” dal 37,2% (prima era giudicata tale dal 16,1%). Infine il 15% la giudica “molto cattiva”, contro il 2% precedente. Si può concludere, quindi, che oltre la metà degli intervistati indica una qualità del sonno “abbastanza o molto cattiva”.
Aumentano anche i risvegli notturni (tre persone su quattro si sono svegliate al mattino presto almeno una volta a settimana, contro le quattro persone su dieci prima del Covid). Le persone che lamentano brutti sogni sono passate da una su dieci prima del Covid, a quattro su dieci attuali. Anche se meno evidente, il periodo Covid ha fatto aumentare del 6% il numero delle persone che sono ricorse tre o più volte a settimana a farmaci per dormire, mentre sono diminuite di circa il 10% quelle che non ne hanno assunti. In uno studio pubblicato dall’università di Harvard lo scorso 25 marzo la conferma che negli italiani giorno dopo giorno, “aumenta la preoccupazione per le scorie mentali e relazionali che la quarantena lascerà sul terreno”. La prospettiva di una nuova recessione economica, l’incertezza dell’attuale situazione e il carico delle cattive notizie – come la conta dei morti giornaliera – non solo influiscono sull’umore e la normale produttività di una persona, ma anche sul modo in cui dorme. E che l’insonnia possa causare problemi di salute ben più gravi, la scienza ce lo dice da anni. Ma ora che il lockdown sta allentando la sua morsa asfissiante i sogni lasciano spazio a una quotidianità composta di piccoli-grandi gesti e dal ritrovare consuetudini abbandonate come prendere un caffè o un cappuccino al bar, o come la sensazione di libertà che si può provare al mare, sulla spiaggia carezzati da una leggera brezza e cullati da dosi alterne di sole e ombra. E c’è chi amplia il flusso di coscienza con un desiderio sopraggiunto di aiutare gli altri e chi si trova in difficoltà.