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I suoni ancestrali dell'isola nel Macbeth in chiave sarda


PERUGIA – Lo spettacolo Macbettu di Alessandro Serra arriva a Perugia con ottime premesse. Premio Ubu 2017 come Spettacolo dell’Anno e Premio della Critica Teatrale dall’Associazione nazionale dei critici di teatro, Macbettu chiuderà la Stagione di prosa del Teatro Morlacchi, sabato 23 marzo alle 18 e domenica 24 marzo alle 17.
Tratto dal Macbeth di William Shakespeare, lo spettacolo, recitato in sardo con i sovratitoli in italiano, è, come nella più pura tradizione elisabettiana, interpretato da soli uomini, Fulvio Accogli, Andrea Bartolomeo, Leonardo Capuano, Andrea Carroni, Giovanni Carroni, Maurizio Giordo, Stefano Mereu, Felice Montervino.
Macbettu s’incunea in un crocevia: da un lato le intuizioni geniali del Macbeth, dall’altra l’ispirazione del regista di fronte al Carnevale barbaricino. Della vicenda scespiriana si recupera l’universalità e la pienezza di sentimenti, millimetricamente in bilico sul punto di deflagrare. Di fronte ai carnevali sardi una visione: uomini a viso aperto si radunano con uomini in maschere tetre e i loro passi cadenzano all’unisono il suono dei sonagli che portano addosso. “Quell’incedere di ritmo antico, un’incombente forza della natura che sta per abbattersi inesorabile, placida e al contempo inarrestabile: la foresta che avanza” – così Serra descrive la suggestiva ascendenza da cui è scaturito il suo lavoro di contaminazione. Macbettu traduce – e volontariamente tradisce – il suo riferimento testuale, valica i confini della Scozia medievale per riprodurre un orizzonte ancestrale: la Sardegna come terreno di archetipi, orizzonte di pulsioni dionisiache. La riscrittura del testo operata dal regista, trasferita poi in lingua sarda da Giovanni Carroni, guarda a una interpretazione sonora: gli attori sulla scena decantano una lingua che è pura sonorità, si allontanano dal giogo dei significati per magnificare il senso.
Il risultato è uno spettacolo colmo di una meraviglia cupa, in grado di utilizzare elementi della tradizione, senza tuttavia fermarsi a una contemplazione statica, ma utilizzando i segni in modo schiettamente contemporaneo, quindi ambiguo, tragico, affascinante. La scena è curata in una stilizzazione puntuale: ogni oggetto – i costumi, le pietre, il sughero, i campanacci – è elemento coerente e contribuisce alla costruzione di uno spazio visionario e evocativo, in cui gli attori si muovono, seguendo precise traiettorie coreografiche. “Macbettu at mortu su sonnu”: Macbettu inquieta con l’atroce bellezza di un racconto senza parole, in grado – come da tradizione barbaricina – di dire senza rivelare.
 

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