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Terni: musica, carri, poesia e fiori. Le basi antiche e nuove per il successo dei "carrucci"

TERNI – Che gli abitanti della Conca nutrano nei confronti del Cantamaggio ternano sentimenti contrastanti è storia nota. La dice lunga la locuzione ‘carro de maggio’ per definire una signora ordinaria e appariscente, o il termine ‘carrozzo’ che definisce, invece, chi è burino, cafone, grossolano, incivile, inurbano, maleducato, rozzo, rude, scostumato, villano, zotico. Nulla avrebbe a che vedere con il carro il ‘carrozzo’ a parere dell’esperto dialettologo Flavio Frontini, essendo quest’ultimo, in realtà, un fico sottoposto a processo di essiccazione; l’allitterazione, tuttavia, si presta così bene a definire il concetto di fondo che prendere le distanze da un Cantamaggio fatto di ‘carri e carrozzi’ è sembrato quasi doveroso a chi, di lustro in lustro, si è sentito più civile, cortese, distinto, educato, fine, gentile, raffinato, urbano dei propri predecessori. Sicché, mentre in città si torna a dibattere sull’opportunità di un ritorno al Cantamaggio rurale di miselliana memoria, magari in costume da contadinello, nella serata del 30 aprile c’era chi, in spregio dei luoghi comuni, godeva della visione delle più raffinate espressioni creative in fatto di carri di maggio ai tempi del coronavirus.  E’ nella diretta facebook di Radiopasseggiata, infatti che, libero da ogni pastoia, si è presentato in gran spolvero lo spirito della festa, motore di oltre 100 carrucci provenienti da più parti del mondo, grazie anche all’entusiastico contributo dei ternani residenti all’estero.

“La diretta – sottolinea Simone Santocchia –  è stata seguita da più di 7.500 persone. Una vetta di pubblico che mai ci saremmo aspettati”.  E il fatto che nei giorni seguenti gli organizzatori abbiano continuato a ricevere carrucci da ogni dove, al punto di dover pensare a una nuova sfilata virtuale per ricomprenderli tutti, starebbe a testimoniare quanto radicata possa essere, ancora, la voglia di Cantamaggio, quando con ciò si intende una festa da fare insieme e non uno spettacolo da guardare a distanza, a bocca storta.
Uscita dalla fervida immaginazione della comitiva Gente Cantamaggio che già lo scorso anno aveva promosso la sfilata dei carrelli (della spesa), la sfilata da tavolo ha consolato anche i demologi che da diversi anni si occupano con alterne vicende del progetto di rifunzionalizzazione della festa grande dei ternani. Sì, perché un conto è teorizzare la valenza di un carro come ponte tra le generazioni e le culture, un altro è vedere all’opera insieme genitori e figli, nonni e nipoti, insegnanti e alunni, autoctoni e stranieri in un periodo in cui il distanziamento sociale s’impone per necessità. E se emblematiche e struggenti sono le opere prodotte dai più piccoli e dai più anziani, come il carruccio di carta realizzato dai bambini della sezione C della Scuola primaria Valleverde – direzione didattica Aldo Moro, o “Villa Arzilla”, il carruccio di condominio realizzato da Checco, Santina, Felicina e la badante Eugenia in collaborazione con Laura Chiari, Maura Raminelli, Giancarlo e  Giuliana Fasola, Margherita Troiani e Sandro Proietti, per chi in questa festa ha sempre creduto a dispetto delle circostanze è il momento di raccogliere.
“Musica. Carri. Poesia. Fiori. Le coordinate della festa sono sempre state tutte qui. Certo, è un materiale delicato, da trattare con estrema cura. Non sempre lo si è compreso fino in fondo e certe forzature turistiche non hanno aiutato” – spiega Marco Baccarelli, ideatore del Ricantamaggio.
“Il nostro augurio –afferma dal canto suo Laura Chiari, presidente del Garden Club Terni – è che questa bella iniziativa possa proseguire negli anni. Noi non faremo mancare il nostro contributo per valorizzarla al massimo”.
Scriveva nel 1982 Raimondo Manelli, autore con Valentino Paparelli del saggio “Il Cantamaggio a Terni” edito dalla Provincia: “La festa è di per sé esauriente. Basta potenziare le comitive nel numero e i testi poetici e musicali nella qualità. Il resto verrà da sé, perché ormai è risaputo che gli entusiasmi turistici non si possono imporre arbitrariamente con l’esca ingenua della quantità numerica delle attrazioni e dei programmi cartacei, ma con la qualità e la serietà delle manifestazioni. Si ridìa al Cantamaggio l’importanza che la tradizione gli ha assegnato e non gli mancherà davvero l’attenzione e l’entusiasmo dei turisti nostrani e stranieri”.
Per Daniele Parbuono, professore associato di antropologia e scienze demoetnoantropologiche dell’Università di Perugia, la tradizione, però, non andrebbe confusa con l’archeologia. “La tradizione – ha spiegato nel corso del collegamento con Radiopasseggiata – è riconoscimento di paternità. Si tratta di filiazione inversa, un processo secondo cui non sono i padri a generare i figli, ma i figli a generare i propri padri. Non è, cioè, il passato a produrre il presente, ma il presente che modella il suo passato”.
Quanto a Miselli, siamo certi che se avesse potuto vederli avrebbe salutato nei carrucci un nuovo rinverdimento di sospirosa poesia, come scrisse su “Sborbottu” nel 1922 allorché, dopo l’interruzione della prima guerra mondiale, con l’amico/competitor Fulgenzio Proietti si apprestava a inscenare nuovamente il Cantamaggio nelle campagne. Per poi seguire Proietti nell’avventura cittadina e nelle velleità turistiche. E poi pentirsene.
Lorella Giulivi

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