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Un'estate perugina senza sane follie estive

PERUGIA – Piango anche io. Più spesso e con più intensità. Non so se le lacrime siano il prodotto del tempo che va sfuggendo inesorabilmente, o frutto di uno stato emotivo che risente della nuova condizione che tutti stiamo vivendo e che si commisura in un’empatia che vorrei si trasformasse per me e per gli altri in resilienza. Sta di fatto che in questo periodo quello del pianto è un sentimento condiviso con molti altri più illustri colleghi che sto attentamente seguendo di giorno in giorno. Sempre più spesso in articoli e commenti trovo il riferimento al piangere. Piangere dunque, versare lacrime che purificano e rigenerano sul versante dei ricordi e di quelle emozioni che costellano l’esistenza. Non piango, ma mi sento sospeso in uno stato di nostalgia, una sorta di “saudade”, quel sentimento che si prova nei confronti di cose e persone lontane e irraggiungibili, pensando all’estate. Penando per il fatto che la musica e le grandi feste dell’estate potrebbero essere annullate, soppresse: mi appare quasi un negare e rinnegare quanto di più piacevole si possa vivere nel nome di un’austerità che sì, è inevitabile per salvaguardare la salute, ma che, forse proprio per questo, viene privata di quel pizzico di follia e di gioia di vivere che ogni estate porta con sé. Le passeggiate al Lago Trasimeno, le sue isole, i tramonti sulla Maggiore con Moon in June, lo specchio argenteo della luna che illumina il leggero increspare delle acque che come un mantra o come una nenia ti cullano nel ripetersi all’infinito sino ad infrangersi sui pontili. Umbria Jazz e il clima sulfureo della musica di qualità, quella che squarcia a ragione la tranquillità e i silenzi della provincia italiana che, per l’occasione, sfoggia i suoi aspetti migliori: l’accoglienza, il buon vivere, l’abbraccio di una città che nei dieci giorni del festival conosce una sua propria dimensione internazionale. I grandi concerti dove si condividono passioni e ricordi, le ragazze ballano, gli spalti dell’arena Santa Giuliana trasudano di entusiasmi e dove le platee e i parterre borghesi vengono persino derisi come fece Elton John quando di fronte alle signore in abiti da sera e agli accompagnatori in giacca e cravatta, quasi imbalsamati seduti di fronte al palco, furono invitati a “tornare nelle loro bare” perché ingessati e insensibili alla musica. Un po’ di sana follia estiva. Come quella volta che ad offendere il popolo del jazz, ormai troppo tecnologizzato e invadente, fu Keith Jarrett che sospese il concerto perché infastidito dagli smartphone che volevano ritrarre e anche registrare l’evento. Fu sgarbato Keith Jarrett in quell’occasione perché offese Umbria Jazz e i perugini, del resto la concentrazione che presuppone una musica intensa come la sua, dove ogni pausa, ogni cesura, diventa musica essa stessa, presuppone una notevole fatica soprattutto mentale. Follie estive e capricci da star. Come – è ormai leggenda – Miles Davis che minacciò di annullare il concerto se non fosse stato rifornito di acqua – rigorosamente Perrier – così com’era previsto dal suo contratto. O come, molti anni più tardi, Prince pretese nel camerino del backstage che dominasse il colore porpora. Purple rain e vezzi, con quel pizzico di follia da artista alimentata dalle dolci serate estive. Del resto a Roma lo chiamano Ponentino, il venticello che arriva da sud ovest e ispira poesia e amori; a Perugia la tramontana invernale che scende dal Colle del sole per incanalarsi in corso Vannucci, in estate supera l’acropoli sino a raggiungere la cavea dell’arena trasformandosi in qualcosa di più di un leggero venticello. Maglioncini e giubbotti sono sempre consigliati. Come a ingabbiare e ricomporsi di fronte alle sane follie estive.

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