PERUGIA – “In questi giorni abbiamo lavorato per definire protocolli che ci consentiranno di interagire in sicurezza tutti – imprenditori, lavoratori, clienti – con l’obiettivo di far ripartire al più presto le nostre imprese, perché questa lunga chiusura è una vera e propria agonia per gli oltre 5 mila pubblici esercizi dell’Umbria. Un lavoro forse inutile, perché con la riapertura di bar e ristoranti dal primo giugno, annunciata dal presidente del consiglio Giuseppe Conte ieri sera, si rischia davvero il fallimento della ristorazione umbra”. Il presidente di Fipe Umbria Confcommercio, Romano Cardinali, non usa mezze misure e dichiara il gravissimo e pesante malcontento che serpeggia nella categoria, settore strategico anche in vista della ripartenza dell’Umbria turistica, uno dei fiori all’occhiello dell’economia regionale.
“La misura è ormai colma”, sottolinea Cardinali “e le imprese sono stremate. I nostri dipendenti stanno ancora spettando la cassa integrazione, il decreto liquidità stenta a decollare. L’ufficio studi della nostra federazione ha stimato che la riapertura al primo giugno significa altri 9 miliardi di danni, che portano le perdite stimate a 34 miliardi in totale dall’inizio della crisi. Forse non è chiaro che si sta condannando il settore della ristorazione e dell’intrattenimento alla chiusura. Almeno intervenga il governo regionale, dal quale aspettiamo anche una risposta alla nostra richiesta di autorizzazione almeno per le vendite da asporto, visto che l’Umbria ha numeri più rassicuranti di altre regioni rispetto ai contagi da coronavirus, battendo il pugno nel confronto con il governo che ci costringe a non lavorare. Chiediamo anche ai parlamentari umbri che ci sostengano: servono risorse e servono subito a fondo perduto, senza ulteriori lungaggini o tentennamenti, sappiamo solo quanto dovremo stare ancora chiusi, nulla si sa quando le misure di sostegno verranno messe in atto. Tutto questo a dispetto sia del buon senso che della classificazione di rischio appena effettuata dall’Inail, che indica i pubblici esercizi come attività a basso rischio”.