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Coronavirus, c'è chi rassicura e chi guarda al domani: l'esempio umbro

PERUGIA – Come un mantra che sgombera la mente, rassicura, scaccia le paure: appare scritto sui balconi in improvvisate lenzuola colorate con il mantra della serenità, o su molti post sui social. Eugenio Guarducci lo ha adottato a mo’ di claim per Eurochocolate e molti bambini stemperano l’aria tesa che c’è in casa, si imbrattano con i colori, ma alla fine si sentono orgogliosi del loro messaggio: “Andrà tutto bene”. C’è chi si sente in dovere di tranquillizzare le moltitudini già stremate dal bombardamento mediatico, dall’adrenalina che cresce, dalla minaccia alla sicurezza per se stessi e per i propri cari. Un esercizio di self-control che lascia spazio alla positività, a un approccio disteso alla situazione pur non dimenticando gli aspetti emergenziali. Siamo soli, anche l’Europa sembra tradirci, ma soli ce la faremo a far capire a tutti che senza l’aiuto degli altri, non andremo – non andranno – da nessuna parte. E’ solo questione di tempo. Intanto i segni di una solidarietà diffusa cominciano a diffondersi, come tutti quelli, soprattutto giovani, che si stanno mettendo a disposizione dei vicini e di chi volesse usufruire di loro servizio gratuito. Se qualcuno ha bisogno di andare a fare la spesa o a comperare il giornale ed è impedito a farlo – è l’appello – io sono a vostra disposizione. Umanità che emerge, ma anche leggerezza e ironia, molta ironia. Sempre sui social è apparso un post, uno dei tanti nel segno della leggerezza, con la raffigurazione della “terribile” Mafalda che chiarisce qualche dubbio di questo particolarissimo momento. Con leggerezza appunto. Afferma Mafalda: “Volevo dire all’inno di Mameli che quando cantiamo “siam pronti alla morte” non è per davvero”. Un segnale, uno dei tanti di resilienza. Perché è soprattutto questa che conta in questo momento. Avere le risorse umane e psicologiche per trasformare una situazione sfavorevole in un’opportunità. Cambiando paradigmi e visioni, idee e prospettive. Rispetto a quella che sembra un’era fa, vale a dire quando sui social ci si accapigliava per una interpretazione ideologico-politica sui fatti con accuse e contumelie nei confronti della parte avversa, i toni in questi giorni sono di molto cambiati. Gli italiani non saranno pronti alla morte, ma si stanno stringendo a coorte. E da questo sforzo collettivo emergono già nuove proposte con modalità diverse di approccio rispetto al poi, quando l’incubo sarà definitivamente concluso. C’è già chi prospetta un futuro che al di là dei sovranismi e dell’applicazione dei dazi trumpiani, auspica un’operazione di revisionismo all’era – forse ormai superata – della globalizzazione e della delocalizzazione. Perché se è vero che la globalizzazione ha fatto emergere milioni di persone da una condizione di povertà e minorità, vero è anche che ha creato un modello fondato sulle diseguaglianze arricchendo a dismisura i già ricchi che invece che redistribuire questa ricchezza ne hanno fatto arma di speculazione finanziaria. Si chiama back-reshoring, è una delocalizzazione al contrario che negli ultimi anni rappresenta anche un elemento di innovatività nelle concezioni capitaliste. E’ fondato su alcune considerazioni di fondo, prima tra tutte che il costo del lavoro dei Paesi terzi demandati alla produzione ha ridotto di molto il gap con i paesi occidentali; secondo fattore: il costo della logistica che si sta avvicinando sempre più a quello dei salari; terzo fattore: la crescente domanda di servizi associata alla produzione delle aziende europee. Quarto fattore – aggiungiamo noi -: il capitalismo globalizzato sta valutando la saturazione dei mercati e la perequazione dei salari, fattori che rendono la delocalizzazione meno appetibile, pertanto cerca nuove strategie per rifinanziare la propria ricchezza. Insomma, delocalizzare forse è convenuto, ma ora conviene meno. Del resto, c’è anche chi non ha mai delocalizzato ed è riuscito comunque ad imporsi all’attenzione dei mercati internazionali, compresi quelli finanziari. In Umbria, il re del cachemire Brunello Cucinelli, tra filosofia e umanesimo, tra marketing e luxury brand, tra immagine e riluttanza nei confronti dei sindacati, ha aperto la strada per una produzione di alta qualità a chilometri zero, rimanendo fedele alle sue origini e alla sua Umbria. Con profitti notevoli e successi a piazza Affari che già da ora fanno intravedere una netta ripresa dopo il “tonfo” dei giorni scorsi.

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