ASSISI – Un richiamo irresistibile, tanto che stasera al Lyrick si va verso il tutto esaurito: trattasi di Renzo Arbore. Showman, autore, regista, presentatore, musicista, particolarmente affezionato all’Umbria e al suo jazz. Stasera sarà sul palco con la sua Orchestra Italiana con la quale è insieme da oltre 26 anni, fatta di amici prima ancora che di validissimi musicisti. Sarà uno spettacolo di tre ore filate durante le quali il buon Renzo darà tutto se stesso con grande energia coinvolgendo sicuramente il pubblico a cantare e sorridere. Abbiamo avuto l’opportunità di intervistarlo per “Gruppo Corriere” e di parlare di questo e altro proprio alla vigilia della tappa umbra organizzata dall’Associazione Umbra della Musica e della Canzone d’Autore-Mea concerti.
Allora Arbore, lei non si ferma mai. Ci dice qualcosa sullo spettacolo che stavolta sta portando in tournée e presenta al Lyrick di Assisi?
“Chi si ferma è perduto, nonostante l’età sia quella che è. Premesso che torno volentieri ad Assisi dopo una piacevolissima serata che ricordo dedicammo al grande Carosone, la scaletta di questo concerto coniuga come sempre il nuovo della canzone italiana a quello che potremmo definire l’antico”.
Sul palco, si dice, vedremo grandi cose.
“Ci saranno come sempre le melodie indimenticabili della canzone italiana interpretate dalle voci appassionate del coro, da strumentisti capaci di assoli e virtuosismi notevoli, con un ruolo privilegiato che siamo soliti assegnare alla musica napoletana che evoca albe e tramonti, feste al sole e serenate notturne, gioie e pene d’amor”.
Ci saranno anche le sue canzoni.
“Sì, quelle scritte, interpretate e fatte visionare dal pubblico televisivo scritte con Claudio Mattone”.
Titoli epici per una certa generazione particolarmente avvezza, ad esempio, al materasso. Per non dire de Il clarinetto.
“Questo è un brano che sistematicamente continuano a chiedermi”.
Brano che ha presentato nella sua apparizione a Sanremo. E’ arrivato secondo perché, si narra, non voleva stravincere.
“Leggenda alimentata da alcuni addetti ai lavori”.
Che ricordo ha di quell’Ariston 1986?
“Indubbiamente Il clarinetto è stata una canzone di grande successo e popolarità. Quando vado per strada è quasi d’obbligo la domanda allusiva: come va il clarinetto? Feci questo brano a Sanremo su consiglio di Mattone. Ricordo che avevamo scritto anche Grazie dei fiori bis”.
E poi cosa è successo?
“Ci convincemmo che Il clarinetto era il simbolo del rilancio della canzone italiana umoristica che non c’era più. Un’epoca finita con Carosone. Poi è arrivato Elio che ha fatto brani fantastiche come la Terra dei cachi e così via ma in quel periodo c’era un vuoto”.
Perché non andava la canzone umoristica?
“Ci dicevano: ‘non vende. A Sanremo vince la canzone d’amore’”
Che effetto fa essere ritenuto l’ambasciatore nel mondo della canzone italiana?
“Proseguo semplicemente sulla via che la comunicazione radiofonica degli Anni Sessanta ci aveva concesso di fare”.
Ne ha fatte tante: un aggettivo personale per ogni espressione artistica. La musica?
“Un collante meraviglioso. Fratellanza. Se penso ad Assisi, quello che predicava Francesco”.
La radio?
“Uno strumento indistruttibile di comunicazione: attuale per immediatezza, comodità e compagnia”.
La televisione?
“Il tentativo di farne una dimensione artistica al di là dell’idolatria dell’ascolto”.
Il cinema?
“La celebrazione della fantasia. Un filtro delle piccole, grandi storie”.