Ha gli stessi occhi di mia madre. Ha tenuto in braccio la sua bimba per i primi mesi. L’ha baciata in fronte, l’ha allattata, l’ha lavata, se ne è presa cura. L’ha guardata intensamente mettendo in quello sguardo la speranza di un futuro di gioie per quella nuova vita, forte e fragile allo stesso tempo. Poi è dovuta partire.
Ha gli stessi capelli di mia nonna paterna, su una testa candida che ha dovuto trovare delle soluzioni, cercare di comprendere il mondo troppo veloce e prendere delle decisioni importanti. Tirare avanti, riacquistare il coraggio ogni giorno trasmettendolo all’intera famiglia. Innescare i meccanismi di dolcezza per tappare i buchi, rimarginare ferite, far rinascere sorrisi.
Ha la stessa pelle di mia nonna materna, cotta dal sole tra ulivi e piantagioni di tabacco. Ha inseguito galline per farci il brodo. Ha sognato di ritornare tutta la vita nella casa in cui è crescita, nel paese in cui è nata, tra le sue vie, tra i suoi fili di cotone e i suoi merletti.
Ha le stesse mani delle mie zie, immerse nell’acqua a lavare stoviglie, pezzi di stoffa, vestiti. Quelle stesse mani che devono tenere in piedi una casa e tutti gli abitanti. Mani instancabili.
Ha la mia stessa espressione quando la mattina mi alzo per affrontare le mille vicissitudini della giornata, sempre un po’ in colpa per non riuscire a distribuire bene il tempo tra le persone che amo, sempre con la sensazione di non essere compresa fino in fondo, con il desiderio di migliorare le mie condizioni
Mariamma è arrivata dal mare. Pioveva il giorno in cui ha messo piede in Italia. Tremava per il freddo, ma molto più per la paura. Non sapeva raccontare i chilometri macinati, e non ricordava più quanti giorni è stata in Libia, reclusa, con un pasto al giorno. Il suo corpo è rimasto integro, nonostante sia stato strattonato ed usato più volte e contemporaneamente da diversi uomini.
Questa mattina l’ho incontrata, ci siamo sorrise, poi abbracciate. Mi ha continuato a raccontare cosa significa essere qui e sognare una casa tutta sua. Mi ha detto che in Africa, la sera, prima di andare a letto, nel suo villaggio, ognuno dice tre grazie. Grazie per il pasto consumato, grazie per il sole e per il vento, grazie per il lavoro della mamma… I grazie sono tanti e tra quelli c’è sempre il grazie per una donna. Sempre.
Alla fine, prima di salutarci mi ha chiesto: come mai oggi vedo per strada tutti questi fiori gialli? Le ho detto: si chiamano mimose. Mi-mo-se ha ripetuto lei. E a che servono le mi-mo-se? Le ho risposto: per dire grazie alle donne. E tu ci insegni che grazie dovrebbe essere detto ogni giorno. Sempre.