Una Giornata come questa, ora più che mai, ha bisogno di tanta concretezza e giusta retorica. Vivo Umbria le ha cercate in questa intervista a Mario Tosti, storico, saggista, docente dell’Università di Perugia e presidente dell’Istituto storia umbra contemporanea che vede i suoi prodromi nel 1974 per il trentennale della Resistenza, mentre risalgono al 1983 l’attuale definizione giuridico-istituzionale e la definitiva denominazione.
La storia contemporanea sembra figlia di un dio minore: a partire dai programmi scolastici per i quali magari si sa qualcosina su Leonida alle Termopili ma niente di Himmler. I recenti fatti di Mondovì ne sono l’ennesima prova visto che l’atto dimostra totale ignoranza del passato.
“Sicuramente affrontare le problematiche che ci sono più vicine nel tempo ci aiuterebbe non poco a comprendere come affrontare le situazioni attuali. Per entrare nel merito del suo esempio: non so quanti ragazzi abbiano pienamente compreso cosa è stato riportato dai giornali di ciò che è avvenuto a Mondovì, cosa comporti quella scritta sulla porta di casa di Aldo Rolfi, figlio di Lidia che era peraltro non ebrea ma staffetta partigiana. La verità è che sono passati 75 anni dalla liberazione di Auschwitz e francamente non so quanto se ne sia compresa la valenza storica”.
I programmi scolastici perché non evolvono?
“Molti docenti, non tutti, chiudono il programma scolastico con il fascismo”.
Perché mancano i testi, le competenze o cosa?
“No, i testi ci sono. Come le capacità d’insegnamento. Il fatto è che da noi la storia contemporanea viene usata come clava politica, se ne fa propaganda partitica nei confronti dell’avversario e si entra in un terreno minato che solo il Ministero può dirimere. Ma non è semplice”.
Da qui a marzo l’Isuc coinvolgerà 800 studenti umbri delle superiori. In che modo?
“C’è una didattica specifica: partiamo dai documenti e dall’analisi che ne consegue riguardo discriminazioni razziali, rifiuto del diverso e privazione dei diritti. L’obiettivo è far tesoro di questa memoria: Auschwitz è il simbolo del male assoluto mentre la reale consapevolezza deve essere quella della presenza costante del virus che alberga nella nostra società, nelle ideologie, negli stereotipi, nei pregiudizi e che sono sempre pronti al contagio. Il messaggio è far comprendere che le dittature di ieri e di oggi puntano a società senza ‘diversi'”.
E senza differenziazioni la cultura non ha linfa.
“Vale per tutte le espressioni dell’Uomo, per tutte le Arti. Per questo come Isuc utilizziamo fonti e testi che si riferiscono alla letteratura come al cinema, alla musica come alla pittura. La negazione dei diritti dell’altro ha tragicamente travolto il popolo ebreo ma l’omologazione al pensiero unico riguarda molte etnie, dai sinti ai rom agli slavi; e ovviamente ai modi di essere e di sentire, come nel caso dell’omosessualità”.
Che tematica principale avete scelto di trattare quest’anno come Isuc?
“La Shoah e le donne. Proprio perché in generale il sesso femminile viene considerato inferiore rispetto a quello maschile; in particolare nel contesto storico di cui stiamo parlando con Hitler che ritiene la femmina funzionale solo e unicamente alla riproduzione della razza ariana. Ovviamente, per contrapposizione, si capisce l’accanimento del nazismo nei confronti delle donne ebree, colpevoli di generare il male. L’attualità di questa nostra analisi è che non si può concepire una società matura, libera, consapevole se si continuano a negare i diritti della donna nella loro interezza e specificità. Non si può far finta di niente. Il pericolo vero è l’indifferenza, come ha detto più volte ed evidenziato Liliana Segre”.
L’Umbria e il nazismo, l’Umbria e la persecuzione del diverso: abbiamo scheletri nell’armadio da tirare ancora fuori?
“Un ulteriore approfondimento necessario, a mio giudizio, è quello relativo all’esito dell’applicazioni delle leggi razziali. Quanti furono realmente i ragazzi ebrei che ne subirono le immediate conseguenze, quanti i professori universitari che vennero nel tempo allontanati”.
E poi ci sono i campi di internamento…
“Parlerei di una presenza vasta, utilizzata in un primo momento per gli ebrei, penso all’Isola Maggiore e poi, al momento dell’occupazione dei Balcani, gli slavi e i dissidenti e oppositori politici internati a Colfiorito, a Pietrafitta, a Campello sul Clitunno. Il tutto ora come allora favorito da una regione sostanzialmente appartata, isolata”.
Studi e ricerche necessari, peccato però l’Isuc stia attraversando una fase di incertezza riguardo il futuro.
“Per quello che possiamo, continuiamo a portare avanti il nostro lavoro. Parlavo prima di Colfiorito: alle Casermette in un anno abbiamo portato più di mille studenti per far conoscere loro questa tremenda realtà. Soprattutto per far capire che la storia è qualcosa di diverso dal semplice culto dei morti; piuttosto rappresenta una conoscenza ineludibile per i vivi e che non deve prevalere l’indifferenza rispetto a ciò che è accaduto non più tardi di ieri in Europa”.
All’Isuc servono di più i finanziamenti o la consapevolezza delle istituzioni di ciò che rappresenta?
“In relazione ai finanziamenti fino ad ora c’è stata molta attenzione da parte della giunta regionale che ci ha sempre supportato e garantito per quanto concerne le risorse necessarie a proseguire la ricerca. Il problema è soprattutto quello relativo alle risorse umane: dal 30 novembre i sei ricercatori che stanno con me all’Isuc hanno visto scadere il contratto e sono in disoccupazione. Pertanto ora siamo veramente in una situazione di emergenza. Grazie al loro senso civico e alla loro buona volontà continuano in questo particolarissimo periodo a garantire il loro supporto non soltanto al nostro Istituto ma alle scuole e alla nostra comunità regionale. Ora, però, abbiamo bisogno di certezze”.