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Vallo di Nera, un antico castello e le opere d'arte a San Giovanni Battista

VALLO DI NERA – Tra le numerose realta’ della Valnerina quello che e’ rimasto fedele alla storia, sotto vari aspetti, soprattutto culturali e urbanistici e’ senza dubbio Vallo di Nera. Grazie ad una attenta politica, ormai da diversi anni, del sindaco Agnese Benedetti. Vallo, dalle varie vicissitudini del terremoto, che ha colpito questa parte di Umbria in più occasioni, e’ riuscita sempre a venir fuori a testa alta, mantenendo integro il suo patrimonio, il suo ambiente, le sue peculiarità architettoniche e quindi, dopo una intelligente ristrutturazione, e’ considerato una avanguardia nel contesto nazionale. Infatti, basta visitare il paese, immergersi nei vicoli e piazzette, varcare chiese ed edicole religiose, che si vive in altre epoche, fatte di semplicita’, di ricerca del bello e di pulito. E cercare l ‘arte a Vallo non e’ difficile tra “il girone” delle mura sul “colle Flezzano”.
Dopo aver degustato formaggio pecorino e sorseggiato un buon bicchiere di vino rosso a “borgo dei casali” tra le strette viuzze colorate di gerani variopinti  e costeggiate da possenti bastioni, si raggiunge la piazzetta con il pozzo,  dove si erge la chiesa di San Giovanni Battista.

L’ edificio che domina l’abitato, ha tutto attorno le antiche case che formavano al tempo, la platea, centro di incontro, discussione  legislativa. La facciata della chiesa e’ stata realizzata tutta in pietra. Al centro il rosone formato da 11 colonnine. Portale in pietra e al culmine della facciata il campaniletto a vela con due fornici e campane. L’interno, copertura a caprigliate, si sviluppa in lunghezza  terminante con un presbiterio e abside circolare. Pregievole una tavola con la Madonna col Bambino tra i profeti Geremia e Isaia del 1317 e la scritta: HOC OPUS FECIT FIERI MAGISTER SER JOHANNES DE VALLO ANNO D.NI MCCCXVII.
Dolcezza traspare dal Bambino Gesu’ che sfiora con la guancia il viso della Madre. Lo stile dell autore di questa opera ha influssi marchigiani, ma e’ un umbro vicino al cosiddetto maestro di Esanatoglia. Sicuramente la tavola era parte di un trittico composto da altri due sportelli. Ma il pezzo forte e’ senza dubbio tutta la rappresentazione scenica (perché di questo si tratta) dell’ affresco che occupa tutto il presbiterio. Affresco raffigurante la Dormizio Virginis, l’ Incoronazione della Vergine, l’ Assunta, nell’ abside; Battesimo di Gesu’, Evangelisti e Dottori della chiesa nel sottarco;  Annunciazione, Eterno Padre, San Sebastiano e San Rocco, angelireggi cortina con stemma di Spoleto nell’arco trionfale; L’ opera fu eseguita da Giacomo Santoro da Giuliana (PA) detto Jacopo Siculo che la realizzò nel 1536 (nel sottarco M.D XXXVI). Il nome del Siculo appare in un atto di pagamento del 1537 (come riferisce lo Gnoli) insieme ad altri documenti. Il dipinto risente del modello dell’ affresco di Filippo Lippi alla Cattedrale di Santa Maria Assunta di Spoleto. Sia la Dormitio che l’ Incoronazione, con l’Annunciazione e i due Santi Sebastiano e Rocco dipinti sulla fronte dell’ arco di trionfo, erano stati già proposti nel 1516 da Vincenzo Tamagni e Giovanni da Spoleto nell’ abside della chiesa di Santa Maria Assunta in Arrone. Questo ciclo pittorico di Jacopo Siculo, come afferma Giovanna Sapori, si riallaccia agli affreschi del 1517 di Pellegrino da Modena in Santa Maria a Trevignano.
“La figura di spalle che sembra aggrappata al feretro della Vergine, l’angelo con la spada e le figure in fuga a destra si riferiscono ad un espisodio narrato dai Vangeli apocrifi. Mentre gli apostoli trasportavano il corpo della Vergine al sepolcro, il corteo fu assalito da un gruppo di ebrei; il loro gran sacerdote cerco’ di rovesciare il feretro ma all’ apparire di un angelo le sue mani si paralizzarono, i suoi compagni persero la vista

(G.Sapori, 1994). “La rappresentazione di questo episodio osserva ancora la Sapori, non molto frequente nel primo cinquecento, può essere messa in relazione con i fenomeni di intolleranza, diffusi in tutta Italia e alimentati in particolare dai francescani, delle comunità cristiane verso gli ebrei che con successo praticavano il prestito e esercitavano il commercio”. Il Fabbi (1977) osserva in questi affeschi “robustezza di linguaggio di tipo michelangiolesco e insieme la dolcezza mistica della scuola umbra”. In questa opera, afferma Antonino Marchese,  il Siculo, si mostra genio sensibile e plastico allo stesso tempo: dalle  secche  sterilizzazioni delle figure degli apostoli si contrappone il disegno dolce e il colorito morbido delle pie donne. Insomma venire a Vallo di Nera e non ammirare queste opere d’arte e’ come gustare un gelato senza la panna.

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