Se vogliamo parlare del pranzo di Natale, è bene farlo dagli antipasti.
La galantina è una missione, si può fare solo per amore e per amore la faccio, ogni santo Natale.
Ci si dovrebbe svegliare presto, con gli ingredienti in linea, pronti per essere utilizzati ognuno al momento opportuno.
Abbiamo la pelle della gallina, le carni, i profumi, i pistacchi, e le mani: che sono l’elemento più importante insieme al grande tomo, la bibbia: il Carnacina.
Nella mia famiglia questa preparazione è un must da generazioni, sempre con gli stessi gesti, e sempre con la stessa ricetta.
Occorre un bravo macellaio che sappia usare bene le sue armi, in modo da lasciare il più intatta possibile la pelle dell’animale che sarà il contenitore del tripudio di ingredienti che compongono la preparazione.
Si cosparge la pelle di marsala e la si mette a riposare in un panno di lino.
Le interiora si sfumano con burro, timo e marsala e si lasciano raffreddare.
Si macina finemente una parte delle carni: il resto e le interiora già cotte, si tagliano a cubetti di un centimetro per lato (la misura è fondamentale), si fa lo stesso con prosciutto, lingua salmistrata, lardo, e tartufo. I pistacchi vanno privati della loro pellicina e tagliati in due.
In una grande ciotola di acciaio (la stessa, per me da anni) si riunisce il tutto e si amalgama con le mani, aggiungendo uova, marsala e aggiustando di sale e di pepe.
Quando la farcia è pronta, si riempie la pelle profumata e si cuce con fare quasi chirugico, perché in nessun modo deve entrare il brodo di cottura nel ripieno: rovinerebbe tutto il lavoro.
Si involta l’animale in uno torcione di lino, bianco e umido. Si mette a cuocere in una casseruola capiente con le ossa, i piedini di vitello (sono importanti e capirete perché), i classici odori, un po’ di sale e si copre di acqua fredda.
Si porta il tutto a bollore e si abbassa la fiamma al minimo.
La cottura ha bisogno di un capitolo a sé.
A domani