Festeggiare la morte per noi donne e uomini occidentali risulta un po’ come un ossimoro, abituati come siamo ad evitare l’argomento, a recarci mestamente il giorno di Ognissanti al cimitero e a pensare alla dipartita nostra e dei nostri cari con paura e tristezza. Tutto ciò che in qualche modo riguarda la morte, i teschi, gli scheletri, i cimiteri, ci trasmettono sempre una certa negatività. E’ il pensiero dicotomico, tipico dell’occidente, secondo il quale tutto è diviso in due opposti e una cosa va bene mentre l’altra no. La luce è “meglio” del buio e la vita è “molto meglio” della morte!
Eppure in alcune parti del mondo questo non è così. In Messico ad esempio il due di novembre, ovvero il Dia de los Muertos è un’occasione allegra e gioiosa in cui la morte è vista come un passaggio e non come una fine, un giorno da vivere con spensieratezza e allegria, porta tra il visibile e l’invisibile che i defunti hanno la possibilità di varcare per tornare una volta l’anno a riabbracciare i propri cari. Ed ecco allora famiglie e amici che si riuniscono per passare la notte al camposanto suonando, ballando e mangiando i cibi preferiti dei loro cari scomparsi.
Il Dia de los Muertos è una festa che affonda le sue radici nella civiltà precolombiana e nel concetto secondo il quale morte e rinascita non sono separate ma contribuiscono insieme al mantenimento dell’ordine cosmico. Frutto di un forte sincretismo tra queste credenze religiose e religione cristiana imposta dai conquistadores dal 1492, è una delle tradizioni messicane più sentite e più conosciute al mondo, dichiarata nel 2008 patrimonio culturale immateriale dell’umanità dall’Unesco.
Un interessante simbolo di questo sincretismo religioso è offerto dall’Altare, l’Ofrenda, che diventa uno degli elementi centrali della festa e in cui si ritrovano allegramente mescolati elementi dell’una quanto dell’altra religione.
Seguendo idealmente una via di petali arancioni di Cempasùchil, fiore originario del Messico i cui petali arancioni e gialli in questa occasione vengono cosparsi ovunque, anche qui a Perugia abbiamo la possibilità di immergerci in quest’atmosfera particolare e festosa recandoci in via Guardabassi 10 al Centro Studi Americanistici “Circolo Amerindiano” Onlus, dove ogni anno Elsa Lopez, collaboratrice del centro, allestisce una ofrenda tipica con l’obiettivo di avvicinare la popolazione locale a questa tradizione. Fondato nel 1977 a Perugia, il Circolo Amerindiano è un’associazione di americanisti e appassionati di americanistica, cioè quel complesso di attività e discipline che, sotto vari aspetti scientifici (antropologico, archeologico, storico, artistico, politico ecc.) si occupano delle culture sviluppatesi nel continente americano, senza limiti di spazio e di tempo, dallo Stretto di Bering alla Terra del Fuoco e dal primo popolamento umano sino ai giorni nostri.
Hélène D’Angelo, altra collaboratrice del circolo, ci illustra così la complessa simbologia dell’altare: “L’altare viene collocato in una stanza, su un tavolo o uno scaffale a più livelli.
I più comuni sono gli altari a due livelli, che rappresentano il cielo e la terra; gli altari a tre livelli aggiungono il concetto di purgatorio.
Ma esistono anche altari a sette livelli, che simboleggiano i passi necessari per raggiungere il cielo e poter così riposare in pace. Questi sono considerati gli altari tradizionali per eccellenza. Ogni livello è rivestito in tessuto bianco e nero e ha un significato diverso: sul primo gradino è posta l’immagine di un santo a cui si è devoti. Il secondo è destinato alle anime del purgatorio. Nel terzo gradino viene posto il sale, che simboleggia la purificazione dello spirito dei bambini in purgatorio. Nel quarto, il protagonista principale è un altro elemento centrale della festa del Giorno dei Morti: il pane, che viene offerto come cibo alle anime. Nel quinto, vengono collocati cibo, bevande e i frutti preferiti dal defunto. Sul sesto gradino, vengono collocate le fotografie delle persone che sono morte e che sono ricordate attraverso l’altare. Infine, nel settimo viene collocata una croce composta da semi o frutti, come tejocote e lime.
Ogni Ofrenda deve avere una serie di elementi e simboli che invitino lo spirito del defunto a viaggiare dal mondo dei morti fino al nostro, così da condividere questo giorno con i propri cari:
– Immagini dei defunti che si vogliono ricordare e onorare;
– una croce, fatta di sale o di mais;
– copal (resina vegetale) e incenso;
– carta crespa colorata, per rimandare all’allegria;
– ceri e candele, che illuminano il cammino delle anime;
– fiori di cempasúchil (garofano d’India) che col loro profumo guidano i defunti fino al mondo terreno;
– acqua, a simboleggiare la purificazione dello spirito;
– teschi, di varie forme e fatture: di zucchero, di argilla, di cartapesta ecc.;
– pane;
– cibi e bevande preferite dei defunti, anche alcoliche a ricordare le feste e l’allegria;
– giocattoli per le anime dei bambini.
La morte vissuta in questa festività non viene vista come un’assenza o una mancanza ma al contrario è concepita come una nuova tappa: il defunto arriva, cammina e osserva l’altare, percepisce, annusa, assaggia ed ascolta. È una presenza viva e gioiosa, che viene festeggiata e onorata. L’altare diventa una metafora: la morte è anche una rinascita, un processo infinito che ci fa comprendere come noi, che oggi offriamo doni ai nostri cari perché tornino a festeggiare, saremo un domani gli invitati a questa festa”.
Del resto, fin dal medioevo anche nello spirito dei perugini c’è la voglia di esorcizzare il dolore e la tristezza e di avvicinarsi ai propri morti con sentimenti positivi: la Fiera dei Morti, nome che ai non umbri risulta quantomeno bizzarro, non è forse un modo molto umano e terrestre di festeggiare questa ricorrenza? Le luci della festa, le giostre, le fave dei morti e il movimento sono di sicuro un appuntamento irrinunciabile e molto caro nel cuore di ognuno.