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Sperimentale: bene Wolff e Simonetti, qualche incertezza nell’organizzazione

SPOLETO La 73^ stagione lirica dello Sperimentale di Spoleto si è aperta ieri pomeriggio, 9 agosto, al Teatro Caio Melisso, mettendo in scena in un unico atto l’opera per marionette “El Retablo de Maese Pedro” pensata nel 1923 dal compositore spagnolo Manuel De Falla.
Un’anteprima questa dedicata alla Spagna, ai musicisti iberici ed ispanici, alle poesie di Antonio Machado e di Federico Garcia Lorca (interpreti Silvia Alice Gianolla e Alfred Ciavarrella; al pianoforte Luca Spinosa e Fiorella Rambotti; attore Tommaso Minniti).  Chiunque avesse temuto un’esecuzione scarna per la mancanza dell’orchestra e delle marionette, con Mariachiara Grilli al pianoforte, Susanna Wolff, Luca Simonetti e Marco Rencinai sul palco, si sarà dovuto ricredere. La follia espressa nel colore ha dato nuova vita al discorso musicale e pittorico degli anni Venti, sperimentale proprio come lo è l’istituzione spoletina che ne ha voluti ricalcare i simbolismi, anche grazie alle forme create dai costumi di Clelia De Angelis e al gioco di luci di Eva Bruno.
“Il Don Quijote diventa un pittore” ci aveva annunciato Andrea Stanisci che ne ha curato l’allestimento scenico. Non solo un artista, egli entra nel sogno e capovolge la scena. “Gli interventi musicali, dove dovrebbero intervenire le marionette e che mostrano quello che viene cantato dal soprano che racconta e porta avanti la storia, diventano interventi artistici” continuava lo scenografo, “questa persona è sempre più coinvolta, sempre più riesce a dar vita e spazio questo suo mondo fantastico, desiderato, che lo attrae ma gli fa paura, in cui il soprano man mano non è più solamente una narratrice che racconta quello che dovrebbe accadere, si fa travolgere e conquistare, diventa partecipe di questo sogno artistico di Don Quijote. Lui che sogna di essere un cavaliere di ventura quando oramai la cavalleria è passata”. L’onirico che diventa realtà, il delirio lo prende, la visione lo assale e gli fa compiere quel gesto impetuoso: la rottura con sé stesso. Simonetti nei panni del Quijote, cercando un sollievo mai trovato, schizza di cielo il volto della Wolff, il cambio di rotta della storia è tanto rapido che sembra di rivedere quel giardino nel prologo introdotto da Lorca, ora interiore, sanguinare davvero di giallo, di luce. 
In sala si percepisce il grande lavoro che il regista livornese Alessio Pizzech ha fatto con i cantanti e con le loro emozioni: la follia nel colore non è più insana. “La riflessione di Cervantes nasce da un forma di disadattamento dell’uomo rispetto alla contemporaneità che lo attraversa” ci spiega, “Don Quijote si rifugia nella lettura dei cavalieri di quegli anni del secolo d’oro, perché c’è una sorta di inadeguatezza del presente, cioè che il presente è molto meno interessante di quel mondo dove lui naufraga con la sua fantasia”.
Il codice del linguaggio cui Pizzech preme tanto far riferimento, attraverso la scena e la musica, diventa quindi il colore, anche se ammette di non averci mai pensato prima. “Nei miei spettacoli non avevo mai pensato fino al Retablo che avrei chiesto ai cantanti di dipingere in scena, e invece qui non so perché ma ho sentito proprio questa necessità del colore come se i personaggi di Don Gaiferos o di Melisandra o di Carlo Magno, fossero, più che associati a delle forme, fossero associati a delle percezioni coloristiche”. Un tentativo di approccio fisico, carnale. “Come se il personaggio raccontando questa storia scoprisse anche una corporeità in lui che è anche diversa da quella che lui pensa di avere”, commenta il regista. 
Non sono passati inosservati questi 27 minuti di spettacolo, o poco più, della seconda parte. Densi anche di significato, come sprona Stanisci: “Se c’è un messaggio è il non temere le proprie emozioni e i propri sogni. Al caso. Non sognare, fallo!”.
Peccato solo per le sbavature dell’organizzazione. Tra il prologo poetico e l’opera, poco dopo la piacevole pausa, un intermezzo con sangria e tortillas, obbligato per il cambio di allestimento in sala, nel riprendere lo spettacolo una brutta sorpresa si è presentata al pubblico: non potendo riprendere posto e rimanendo nel foyer in attesa del via libera, gli spettatori sono potuti rientrare solo a spettacolo iniziato, salvo poi per mancanza di spazio esser dovuti salire agli ordini superiori.
Lo spettacolo, si sa, deve continuare e il pubblico, dopo tutto, all’udir dello scroscio degli applausi ne ha apprezzato l’intento e l’originalità. Speriamo dunque in alcune migliorie durante le repliche di oggi, 10 agosto, alle ore 18 e alle ore 20.30 e in una maggiore illuminazione dei sopratitoli, essendo l’opera in lingua originale. 
 
La Stagione Lirica si aprirà ufficialmente il prossimo 6 settembre 2019 (ore 20.30), con repliche nei giorni 7 settembre (ore 20.30) e 8 settembre (ore 17.00), con la prima assoluta dell’opera Re di donne di John Palmer su libretto di Cristina Battocletti e John Palmer, liberamente ispirata ai delitti narrati nella cronaca italiana, come quello di Avetrana. Direttore sarà Vittorio Parisi mentre ritroveremo alla regia Alessio Pizzech.
Si continuerà con Drosilla e Nesso in scena nei giorni 13, 14 e 15 settembre 2019 presso il Teatro Caio Melisso, direttore Pierfrancesco Borrelli e regia di Davide Gasparro; Liebeslieder in scena il giorno 18 settembre 2019 presso il Complesso di Villa Redenta con la regia di Davide Gasparro, per poi concludersi con il nuovo allestimento dell’opera Il barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini sotto la direzione di Salvatore Percacciolo e il ritorno nella regia lirica del comico e attore Paolo Rossi.  
 
 
 

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