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Intervista a Elena Radonicich domani sul palco del SanFra di Perugia per l’omaggio ad Anna Politkovskaja

PERUGIA – Niente di più attinente alla cronaca nonostante Elena Radonicich porti all’Auditorium San Francesco al Prato di Perugia un omaggio a chi non c’è più ormai da quasi vent’anni, Anna Politkovskaja.

Per di più in un giorno, anzi giornata, anch’essa estremamente legata a tante attualità come l’8 marzo.
Lo spettacolo, del resto, si intitola “A futura memoria” e Radonicich propone una scelta di testi scritti dalla giornalista, dando nuovamente voce, corpo e vita alle sue idee.
Le letture sono alternate dalle musiche di compositori che il regime stalinista censurò in nome dell’accusa di “formalismo”, tra i più noti Dmitrij Šhostakovich, Aram Khachaturian e Boris Ljatošyns’kyj.
Ad accompagnarla in musica saranno l’ideatore dello spettacolo e primo violino, Valentino Corvino, e l’Iris Ensemble, quartetto d’archi interamente femminile. La selezione dei testi e il loro adattamento è stato curato da Lucia La Gatta, mentre la voce registrata è di Matteo Alì.
L’appuntamento di domani è alle ore 21 e rientra nell’ambito della stagione Sanfra 2024/2025 che è promossa da Mea Concerti in collaborazione con il Comune di Perugia.
Di questo e altro, come nostra consuetudine, parliamo con Elena Radonicich.
– Perché proprio Anna Politkovskaja?
Perché per un lungo periodo è stata una figura, almeno da noi, ma forse non solo, dimenticata. Incarna invece, purtroppo, una storia esemplare ed è bene tenere viva la sua memoria perché la memoria è uno strumento che abbiamo per costruire una forma di resistenza attiva e avere così coscienza che è uno strumento di libertà che abbiamo. La sua storia del resto è simbolica: è ricerca della verità, della libertà, della giustizia e gli ostacoli che ha incontrato sono veramente esemplari. Oltretutto è evidente che esistono analogie inquietanti con molti eventi anche contemporanei.
– La selezione dei testi come è avvenuta?
Sono brani di varia natura e sono stati selezionati da Lucia La Gatta, sono composizioni tratte da diari, lettere e dai suoi articoli comunque tutti scritti che durante lo spettacolo si alternano a delle slide e a dei filmati che si riferiscono al contesto storico in modo da accompagnare lo spettatore.
– Valentino Corvino nella sua introduzione allo spettacolo, che ha ideato, evidenzia un pericolo: l’indifferenza crescente. Le chiedo che approccio deve avere il pubblico nel vedere questa rappresentazione?
Lo spettacolo ha un impatto emotivo molto forte che aiuta a entrare immediatamente nella tensione della rappresentazione. Soprattutto si va oltre quella che definirei tifoseria politica, perché purtroppo tale è diventata, non essendoci più ideologia. Pertanto credo che la disposizione d’animo più giusta da parte del pubblico sia semplicemente quella dell’attenzione visto che siamo in un momento orwelliano, dato il ruolo che le parole hanno assunto e continuano ad assumere. Se non fosse tragico, sarebbe tragicomico. Le parole di Politkovskaja sono invece un precipitato di verità, come quando le diciamo che siamo ancora bambini; e ti aiutano a capire, a scegliere in certi ambiti, chiaramente, da che parte stare. Eppure siamo in un momento di confusione totale, condotti dalla mala informazione, sedotti dal potere, dalla forza, in un sovvertimento generale dei valori. Per cui si fa veramente fatica a distinguere le cose e la risultante è proprio l’indifferenza. Visto che non so come stabilire ciò che è vero e ciò che non lo è, me ne frego e punto tutto sul benessere; devo stare bene io e chi se ne frega del prossimo…
Penso che ogni persona che decide di pagare il biglietto e venire a vedere questo spettacolo compie la scelta di non essere indifferente. Valentino Corvino ha costruito uno spettacolo che è un po’ un pugno nello stomaco.
– C’è anche una componente musicale importante…
Tutte scelte interessanti perché i compositori delle musiche vennero ostracizzati dal regime staliniano e avevano solo lo spartito per opporsi: attraverso la loro arte hanno manifestato il loro dissenso.
– Lo spettacolo verrà messo in scena l’8 marzo, le chiedo una sua personale opinione su questa data, sul significato che ha, o dovrebbe avere, e lei come lo vive.
Come una lotta. Sì, ho abbandonato la festa per la lotta.
– Consueto nostro tormentone finale: tv, cinema, teatro sono le espressioni artistiche con le quali si esprime. Mi dà una definizione del significato che ciascuna di esse ha per lei? Iniziamo con la televisione: per lei è?
Pubblico.
– Il cinema?
Cangiante. E’ il luogo della libertà, o così dovrebbe, a mio avviso, essere. Incarnare la possibilità di mettere in forma tutto, anche dal punto di vista tecnico, per darci visioni del mondo; soprattutto non avere l’ansia della narrazione tout court e poter offrire più piani di lettura, visioni, appunto. Il prodotto televisivo risponde a delle leggi di narrazione molto più precise dove spesso è più importante il racconto, mentre nel cinema è essenziale a mio avviso lo sguardo.
– Il teatro?
Il corpo.


– Perugia e la sua partecipazione alla fiction Rai su una figura molto amata dai perugini: Luisa Spagnoli. Che ricordi ha?
Di tutti gli angoli di una città splendida dove poter … allattare mia figlia Anna che era nata ad agosto. Noi giravamo la fiction a ottobre con un freddo fotonico. Ero fresca mamma, insomma, e non posso disgiungere questa esperienza professionale dal momento privato, ed è un ricordo ancora molto vivo. Quindi ho impresse nella memoria queste immagini di passeggiate meravigliose tra le vie e le piazze di Perugia.
Adesso la vivrò in un altro modo e sono molto incuriosita dal fatto che reciterò in un auditorium, quello di San Francesco al Prato, che non conosco e mi dicono essere davvero meraviglioso.

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