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Intervista a Guido Barlozzetti che nel Duomo d’Orvieto dà voce a Tommaso d’Aquino

ORVIETO – Il Duomo di Orvieto, e chi altrimenti, accoglierà “Scrivere di Dio/Tommaso D’Aquino” racconto sul rapporto ragione-fede di e con Guido Barlozzetti domani, sabato 9 novembre, alle ore 21. L’ingresso è libero, nello spirito del Festival Arte e fede del direttore artistico Alessandro Lardani, entro il quale questo lavoro si colloca.

 

Si tratta di una narrazione-spettacolo perché le parole si avvalgono dell’ambientazione sonora live del contrabbassista Enzo Pietropaoli, la cui musica farà da colonna sonora anche al progetto visivo di Massimo Achilli, con clip illustrative ed evocative dei temi e delle situazioni che verranno toccate dal racconto, ulteriormente valorizzate in alcuni momenti dalle elaborazioni grafiche e le animazioni di Silvia Spacca.

Di questo e altro, come nostra consuetudine, parliamo con l’autore del tutto, Guido Barlozzetti.

 

– Dati certi: 800 anni dalla nascita di Tommaso D’Aquino, 750 dalla sua morte, soggiorno a Orvieto. Detto questo, a livello personale, com’è che lei ha deciso di approcciarsi proprio a lui?
Ci ho messo il naso perché l’interesse, diciamo così, filosofico nei confronti delle cose è generale per me. Nel caso di Tommaso perché è uno dei grandi sistematizzatori del pensiero. Come Aristotele, così come Kant, è una di quelle intelligenze che nel suo tempo ha portato la riflessione al punto estremo a cui si può arrivare. In questo caso una discussione che nel Duecento cercava di approfondire le verità, i capisaldi della religione cristiana, cercando di capire se c’era una possibilità di tenere insieme la fede e la ragione. E poi per me avvicinarsi a Tommaso è come approssimarsi a una galassia straordinaria perché lui, nei 50 anni della sua breve vita, ha scritto tantissimo al punto che non si può pensare di contenerlo. Devi trovare un filo.
– Come trovarlo?
Cercando di capire chi è stato nel secolo in cui ha vissuto ma anche che cosa proietta sulla nostra attualità, altrimenti, questo nostro progetto sarebbe inutile.
– Il pericolo maggiore nell’affrontare il capitolo Tommaso D’Aquino?
Farne un santino, visto il grande santo che è. L’operazione da fare non dico sia quella di desantificarlo, perché non avrebbe senso, ma invece vedere ciò che ha prodotto semmai la santità, di non vederla come un risultato ma nel suo farsi, nel farsi di una vita.
– Tommaso e il tema eterno del rapporto fede-ragione. Operazione complessa: da dove cominciare?
Mi è venuto da pensare all’immagine simbolica di un equilibrista che avanza sul filo sospeso nell’aria.
Tommaso D’Aquino ha camminato per tutta la vita tra ragione e fede, fra la terra degli uomini e il punto prospettico di Dio, in un simbolico cerchio tra exitus e reditus, di uscita e ritorno, discesa e ascesa.
– Questo equilibrismo teologico-filosofico dove approda?
Lui è quello che porta avanti il tentativo più sistematico di trovare un punto di equilibrio che dia conto per un verso della forza della ragione applicata alla fede, e al tempo stesso fondi la fede non soltanto su se stessa ma anche su quanto l’uomo è capace di fare della sua capacità intellettuale, dell’esercizio della sua ragione, che non è una diminuzione né dell’intelletto né della fede. Riguardo l’approdo, nell’ultima parte della sua vita, a un certo punto, ha una sorta di deriva estatica contemplativa e arriva a chiedersi se tutto quello che ha scritto sia quasi inutile rispetto a quello che ha visto e gli è stato rivelato. Non è che in quel momento rinneghi ma è come se si fosse trovato su quella soglia che separa tutto quello che ha cercato di ricostruire nella Somma Teologica, ragionando, concatenando concetti, trovando spiegazioni, argomenti pro e contro e via dicendo, e al tempo stesso quel punto oltre il quale c’è la Verità con la maiuscola; e che pertanto non si può dire perché se tu la dici rientrerebbe nel mondo discorsivo delle parole e, di conseguenza, non sarebbe più la Verità in quanto tale.
– Tommaso D’Aquino rispetto all’intelligenza artificiale come si porrebbe?
Lui è un algoritmo, è il più grande algoritmo del Medioevo. Però lui ha l’umiltà di riconoscere che c’è un super algoritmo, quello di Dio.
– Mentre noi?
Ancora non abbiamo capito bene dove sta la nostra intelligenza, fino a che punto la possiamo usare e come. L’algoritmo ci potrebbe dare una mano, ma io penso che per quanti algoritmi inventeremo nessuno ci risolverà il problema fondamentale della vita e della morte.
– Tommaso d’Aquino da Parigi, ormai magister veneratissimo ovunque, si ritrova a Orvieto tra il 1261 e il 1265: una deminutio capitis?
No. Per due motivi: uno perché i Domenicani appartengono prima di tutto all’ordine dei mendicanti e, dunque, riconoscevano alla predicazione e all’insegnamento un valore fondamentale.
Il secondo motivo è che a Orvieto in quel periodo c’era Urbano IV, quindi seppure non fosse paragonabile a Parigi, Orvieto era pur sempre sede papale. Inoltre quello è il periodo del miracolo di Bolsena avvenuto nel 1263 che dà a Urbano IV la possibilità di scrivere la Transiturus de hoc mundo ad Patrem, bolla con cui l’11 agosto 1264, proprio da Orvieto, istituì la solennità del Corpus Domini come festa di precetto incaricando Tommaso D’Aquino di scrivere l’Ufficio del Corpus Domini. L’incarico è gigantesco in questo senso. È un compito importante che non è filosofico ma poetico, perché lui scrive i versi dei canti che fanno parte della liturgia del Corpus Domini. Quindi scopriamo un lato diverso di Tommaso: non semplicemente e straordinariamente ingegnere dei concetti, ma anche uomo con una sensibilità profondissima rispetto, per esempio, a un sacramento come l’Eucaristia che per lui è fondamentale. Non si riuscirebbe a comprendere Tommaso senza questa sua devozione all’Eucaristia. Del resto se si osservano le raffigurazioni di Tommaso, compare sempre accanto a lui questa specie di cuore dorato che è il santissimo sacramento a cui lui ha dedicato la vita.
– Freud, Kubrick, Pasolini, Anna Magnani e ora Tommaso D’Aquino nei suoi testi teatrali. C’è un filo conduttore?
Sono tutte personalità che in modi diversi, in tempi diversi hanno esplorato e usato i loro linguaggi per capirne il limite e cercato però, pur avendolo compreso, di andare oltre. Freud con la ragione ha scoperto l’inconscio, Kubrick con il cinema ha cercato di andare al punto più estremo in cui può arrivare il linguaggio cinematografico. Pasolini ha vissuto la contraddizione profonda della sua realtà personale che ha proiettato poi su un mondo che stava drasticamente cambiando, cercando l’utopia del sacro perché alla fine se c’è un valore profondo che lui ribadisce in ogni sua opera è proprio questo, l’esigenza di una sacralità della vita che nella quotidianità però smentisce la civiltà dei consumi. C’è, in sostanza, il tentativo di raggiungere l’irraggiungibile. Anna Magnani va oltre lo stereotipo dell’attore e non interpreta una parte ma ci mette dentro la rabbia della sua vita. Cerca, anche in questo caso, di portare in un personaggio qualcosa che sta oltre il personaggio.
– Parole ma anche immagini e suoni: Massimo Achilli e Enzo Pietropaoli…
La triade. Massimo Achilli ha fatto un grande lavoro anche di ricerca perché lo sforzo di questo spettacolo, di questo racconto, era già nelle premesse quello di sostenerlo e sostanziarlo anche con le immagini.

Stamattina Guido Barlozzetti, Enzo Pietropaoli e Massimo Achilli, durante le prove generali

E il suo progetto visivo è davvero notevole. A ciò si aggiunge la musica dal vivo di Enzo Pietropaoli che consente di andare oltre le parole, e anche questo era un obbiettivo che ci eravamo prefissi. Voglio anche citare il grande contributo di Silvia Spacca, fotografa, artista 3D, grafica e design.
– Un progetto complesso, indubbiamente…
Scrivere di Dio nasce dal concorso concorde e fortemente partecipato di alcune istituzioni cittadine che, con motivazioni e funzioni diverse, anno la responsabilità di concorrere al bene di una comunità: mi riferisco in questo caso specifico alla Consulta Fondazioni di Origine Bancaria Umbre, alla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, all’Opera del Duomo di Orvieto, alla Diocesi di Orvieto e naturalmente al Festival Internazionale Arte e Fede.
Un esempio virtuoso e auspicabilmente replicabile di ciò che una buona volontà, non chiusa in faziose e pregiudiziali contrapposizioni, può produrre.
In questo modo si possono creare attività e iniziative che sicuramente collaborano a dare un profilo di Orvieto che non è semplicemente quello del parco a tema turistico che le nostre città stanno diventando. A mio avviso, questa, è l’unica strada.
– Alla fine di questo spettacolo sarebbe contento se uno spettatore le dicesse?
Voglio leggere la Somma Teologica.

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