FOLIGNO – Per il cartellone di “Foligno On Stage”, ideato e organizzato da Athanor Eventi, in collaborazione con Coop Culture, Centro Servizi Foligno e Comune di Foligno, è arrivato il momento di un’incursione nel jazz d’autore.
Mancano pochi giorni, infatti, all’appuntamento di venerdì 8 novembre (ore 21.15) quando all’Auditorium San Domenico di Foligno andrà in scena il nuovo progetto di Raphael Gualazzi: “Raphael Gualazzi Live 2024”.
Classe 1981, Gualazzi è cantautore, compositore, arrangiatore, musicista e produttore.
Dopo gli studi classici al Conservatorio, Gualazzi ha sempre sperimentato diversi generi musicali, dando vita ad uno stile personalissimo, tra stride piano, jazz, blues e fusion.
– Dreams Tour e Dreams in Jazz, titolo dell’ultimo album e dei precedenti tour. Insomma, insegue sogni musicali?
Diciamo che più che inseguire, i sogni fanno parte un pochino del mio DNA, della mia filosofia di vita e sono sempre stato coerente in questo particolare progetto proprio chiamando l’album Dreams sostanzialmente perché di questi sogni noi riusciamo a ritrovare quello che è l’attimo presente, che è l’unico che veramente conta e che ci restituisce tutto il senso della nostra ricerca introspettiva e anche del mondo in generale. Credo che per questo motivo alla scoperta di mondi adiacenti, a volte complementari.
– A volte molto diversi anche.
Decisamente.
– La formazione del quintetto è quella che sta adesso percorrendo, se non sbaglio.
Sì, è un quintetto molto particolare perché formato anche dall’apporto vocale, infatti facciamo delle armonie vocali che io ho arrangiato per restituire al repertorio non solo The Dreams ma anche altri brani che riproponiamo, appunto anche in questa dimensione.
– È il classico combo jazz con una voce protagonista?
Sì, diciamo che ci sono tanti colori, del mio percorso artistico che dagli inizi è stato rivolto alla cultura africana e americana.
– Non è soltanto questo l’ambito a cui si è rivolto, ma per esempio il caso delle rivisitazioni di grandi musicisti e compositori italiani del passato come Trovajoli, Piccioni, oppure Umiliani…
Non voglio dire pionieri, perché sarebbe sbagliato, però sono stati dei grandissimi rappresentanti del jazz italiano, anche se come sappiamo il jazz italiano nacque sia al sud che a nord, sia a Torino, con i nuovi filantropi che poi hanno dato anche origine a Buscaglione, tra virgolette. o durante il periodo fascista. Questo per quanto riguarda la storia del jazz italiano piemontese. Ma ricordiamo, ad esempio, anche la mitica Radio Bari.
– Anche Perugia e l’Umbria hanno una buona tradizione in merito.
Negli anni 50 a Perugia c’era l’Hot Jazz Club che, ad esempio, invitò anche Armstrong e Chet Baker. Era un periodo di fermento in cui il jazz stava conquistando il suo pubblico anche in Italia che si prolungò per tutto il trentennio successivo, sino al termine degli anni 80. La parola jazz e la parola Italia è una combinazione veramente ben riuscita se si pensa alla bellezza anche semplicemente di quello che è la fisionomia del nostro paese caratterizzato sia da un grandissimo patrimonio storico-artistico che da un grande patrimonio naturale composto da diversità biologiche.
– E anche tanti suoni diversi, no?
Assolutamente. Cos’è un incontro se non una cultura che restituisce la natura più autentica alla persona, la natura più autentica e più vera.
– Abbiamo anche tradizioni molto diverse, se teniamo conto ad esempio nel cantautorato della scuola napoletana, della scuola romana, della scuola bolognese, genovese, appunto stiamo ricordando anche quella torinese, milanese anche. Quindi insomma abbiamo un’ampia varietà di suoni e di approcci alla musica. Ma cosa aggiunge di nuovo ora il Raphael Gualazzi Live 2024?
Sicuramente dal punto di vista della line-up c’è questo gruppo vocale, ci sono alcuni brani che ho scritto e alcune rivisitazioni, oltre a qualche cover. Insomma, si percorrono ampie possibilità di musica.
– E’ stato ospite più volte in passato del Festival di Sanremo, l’ultimo mi sembra il 2020, prima del covid, proprio l’anno antecedente. Lo trova cambiato il festival rispetto alle prime apparizioni che risalgono alla fine del primo decennio 2009?
La musica che viene passata per televisione, per radio, per la maggior parte, se si parla di mainstream, è completamente cambiata da 12 anni a questa parte perché le cose cambiano e hanno la loro evoluzione come in tutti i fatti della vita e tutti i fatti della storia. La cosa bella però è poter trovare bellissimi festival jazz italiani e altre situazioni che abbracciano anche diversi tipi di musica che sono, come dire, cugine del jazz, che abbracciano il jazz, sono quasi, come per dire, affini, no? Quindi, conservando quello che sicuramente mi caratterizza in Lituania o in Sudafrica, ad esempio, dove ho avuto la possibilità di fare concerti per l’Istituto Italiano di Cultura, continuo a coltivare i miei sogni con grande passione.
– Nel suo ambito musicale si è inserita anche fortemente la forma canzone, in particolar modo la canzone italiana, questo è il nuovo indirizzo.
Un ambito su cui poi improvvisare, tornare alla passione più autentica che è quella del jazz?
Poi ho cominciato a scrivere dei brani. E ho cominciato a cantarci sopra. In generale la forma canzone la vedo come una possibilità di restituire quello che si diceva prima, restituire un pochino quello che può essere una formalità, una forma e restituirla proprio nel suo elemento naturale. Poi viene la magia dell’improvvisazione e tutto il fascino che questo mondo, appunto il pianeta di cultura americana, ci insegna.