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I racconti brevi di Carlo Favetti: “Dai Cavalieri di Rodi ai dipinti di Amedeo Modigliani fu un attimo”

Nuovo racconto breve di Carlo Favetti anch’esso ambientato a Roma che proponiamo ai lettori di vivoumbria.it che, se vorranno, potranno leggere in questo fine settimana di ottobre.
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Dai Cavalieri di Rodi ai dipinti di Amedeo Modigliani fu un attimo
di Carlo Favetti
Ritornai presto a Roma dal mio paese, quel quattro novembre del 1980, scesi a Termini alle 15 stanco morto del viaggio. Il treno aveva fatto tutte le fermate, non ne aveva risparmiata una. Avevo trascorso quell’ ultimo fine settimana, prima del congedo, festeggiando l’onomastico insieme a mamma, papà, mia sorella Simonetta, le mie zie Maria, Giacinta, Luigina e zio Ennio appena ritornato dal Kuwait. Sul treno durante il ritorno, pensavo di rientrare alla sede, lasciare la borsa con la biancheria  pulita e poi riuscire di nuovo in giro per la capitale, si stava molto bene, in quanto la temperatura era ancora mite. Così feci, in fretta e in furia. Mi incamminai per via dei fori imperiali, per poi raggiungere il Colosseo. Mi misi seduto sul muretto panoramico di fianco al monumento, e di gente quel pomeriggio c’è ne era tanta all’ inverosimile, anche se la giornata volgeva alla fine, per me doveva ancora iniziare, non priva di emozioni. Mi metto comodo sul quel muretto, ricevendo ad occhi chiusi tutti i tenui raggi del sole sul viso che  filtravano dalle grandi finestre austere e arcuate del Colosseo. Apro gli occhi e vedo che piano piano il tramonto stava  tingendo di arancione il cielo e, così riscaldava, ancora di più, anche il mio viso che rimase abbagliato da quel tenue chiarore variopinto: era uno spettacolo immenso, con quei colori, sembrava che il Colosseo prendesse fuoco, quelle frecce di luce venivano proiettate sulla gente che passava, sulla strada, sulle case attorno e su me  che non riuscivo a distogliere lo sguardo a quella meraviglia di storia e arte. Era un addio che non potevo accettare da quella  città che per poco meno di un anno è stata la mia fedele compagna di avventure. Torno al centro, verso via del Corso, arrivo a Piazza di Spagna ormai era quasi notte, mi seggo sui gradini della scalinata di Trinità dei Monti.

L’ odore delle caldarroste mi stavano stuzzicando l’ appetito. Scendo a piazza Farnese e poi a Campo de Fiori e infine a piazza Navona, i miei luoghi più importanti, dove ho trascorso i pomeriggi più interessanti, dove ho conosciuto i miei amici e con loro ho condiviso affetti ed emozionanti storie. Ancora una volta  mi seggo sui gradini di Agone, accendo una sigaretta e guardo la fontana dei quattro fiumi, la piazza stava svuotandosi, pochi turisti ormai. Una coppia di cinesi posa ad un ritrattista, mentre una ragazza acquista semi salati in una bancarella. Appoggio la testa sulla ringhiera, mi rilasso al rumore dell’ acqua che cadeva a rigagnolo nella vasca della fontana. “Chi si rivede, come stai? Con la fretta di correre via l’ altra notte non ci siamo neanche scambiati i numeri telefonici – così Domenico all’ improvviso – ma tanto domani mattina saresti venuto alla mostra per prendere il catalogo e te lo avrei chiesto il numero. Come è andato il fine settimana dai tuoi? Credo bene, è stato anche bel tempo. Se non hai impegni per cena potresti venire con me, alle 20 ho un simposio presso la casa dei Cavalieri di Rodi. Ci sono molte personalità, alcuni miei insegnanti, politici e prelati. Mi farebbe molto piacere se venissi anche tu con me, mi faresti compagnia, vedrai, ti piacerà e poi ci sarà  anche il buffet e così non rimarrai a stomaco vuoto”. Quell’ invito mi sembrò molto strano, non conoscevo in quell’ ambiente nessuno, però mi apparve intrigante quella richiesta da parte di Domenico che apprezzai e acconsentii subito.
“Vedrai che bell’ ambiente che troverai stasera – mi dice con orgoglio Domenico prendendomi sotto braccio – ti farò visitare tutto ciò che si può vedere con la speranza che si possa accedere anche ai locali che sono chiusi alla visita o che sono in fase di restauro. Dove andremo è una struttura antichissima del foto, edificata su resti romani. La casa dei Cavalieri di Rodi è situata nel cuore di Roma, nell’ area del foro di Augusto e risale al IX secolo, quando passò all’ Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme nel 1230. Con il rinascimento si ebbe un recupero, una sistemazione maggiore con il  restauro di buona parte della struttura. Fu abbandonato dai Cavalieri nel 1566 e dato alle monache Domenicane Neofite che fondarono il monastero della Santissima Annunziata.  Nel 1946 fu dato  nuovamente  ai Cavalieri con la cappella dedicata al Battista. La suggestione è data dalla facciata che si affaccia sul foro di Augusto. Il loggiato è sostenuto da colonne riutilizzate da materiale più antico addirittura di epoca romana. Vedrai che panorama dal loggiato. Poi mi dirai”. Dopo tutta questa bella chiacchierata arriviamo all’ arco di via del Grillo. C’erano molte persone vestite in abito elegante, le signore in lungo che sfoggiavano gioielli. Tra un gruppetto di signori distinti anche tre prelati con sciarpa e berretta paonazza, poi ad un angolo un gruppo di giovani musicisti con violino, pianoforte e ottoni. Un salone stupendo, con arazzi, soffitto a cassettoni,  in un angolo un lungo tavolo illuminato da candelabri, che metteva in mostra il ricco buffet. Mi sentivo fuori posto in mezzo a tutta quella gente, oltretutto vestita da cerimonia. Non ero presentabile, neanche Domenico, il quale non aveva un abbigliamento consono all’ evento quindi mi consolai, del resto eravamo gli unici due ad essere i più giovani. Domenico mi presenta alcuni suoi insegnanti, ma ciò che mi ha più meravigliato fu  un alto prelato che si avvicina al mio amico, lo  saluta e lo  prende sottobraccio. Domenico  lo abbraccia e poi rivolto a me. “Carlo ti presento mio zio. Non ci vediamo più da quando abbiamo partecipato a quella mostra di Modigliani a Venezia”.  Rimasi un po’ turbato da quel prelato, e capii allora il motivo per cui Domenico aveva trovato l’ appartamento in quel palazzo prestigioso. Poco dopo  mi presenta anche la zia, la sorella del prelato. Una donna affascinante molto elegante che sfoggiava una collana di perle, e molti anelli. Abbraccia il nipote, e gli chiede come andava la scuola, se l’ appartamento era di suo gradimento e se le pulizie avvenivano puntualmente da parte della donna. Rimasi in disparte per un po’, mi avvicinai al buffet presi una coppa di spumante, mi affacciai alla finestra e mi si aprì innanzi il grande spettacolo dei fori imperiali, le luci della città su  quell’ inconfondibile cielo romano, saturo fino all’ inverosimile  di stelle. Avevo perso Domenico in mezzo a tutta quella gente. Mi addentro a cercarlo nelle stanze tra dipinti e sculture. Salgo le scale, il piano superiore era deserto. La musica dell’orchestrina appena si percepiva in lontananza. Esco sul loggiato, cammino piano piano tra una colonna e l’altra e quel panorama era ancora più suggestivo.  Mi appoggio al cornicione, mi ero quasi commosso  quando Domenico mi raggiunge e si pone dietro me parlandomi dietro le orecchie. “Sei sparito, non ti vedevo più, ma avevo capito dove ti avrei ritrovato, nel posto più bello”. “Veramente qui è l’ angolo incantevole su tutta la città Antica, davanti a noi ci sono millenni di storia. Ma dimmi di Modigliani, io non ho mai visto dal vivo i suoi dipinti solo sul testo dell’ Argan a scuola”. “Si! avevo quattordici anni quando andai con i miei zii a Venezia e fu allora che visitai la mostra. Be che dire su Amedeo Modigliani, l’ italiano bello e dannato, mi sembra, se non vado errato, che nacque nel 1884, ebbe una vita breve, infatti a soli 35 anni mori di tubercolosi nel 1920. Come tutti i giovani artisti, suoi coetanei, fu sconvolto dalle novità parigine. Uno stile inconfondibile il suo, che dire dei volti stilizzati, gli ovali perfetti dei visi, i colli lunghi e affusolati, gli occhi privi di pupille, l’atteggiamento pensoso e inquieto, i colori accesi, il disegno quasi primitivo e arcaico sono ritratti dell’ anima, carichi di mistero e per questo dotati di un fascino senza tempo, di uno stile inconfondibile e unico di chi ha saputo tenere un piede su due staffe, ossia nella tradizione e nella  rivoluzione. Che altro posso dirti, che Modi’ ha inventato il ritratto moderno, inquieto e interrogativo, ha rappresentato poeti e camerieri, bambini e mercanti, mendicanti e donne. La sua vita sentimentale fu segnata dalla conoscenza della pittrice Jeanne Hebuterne che divenne la sua compagna. Una storia travagliata. Jeanne morì suicida all’ ottavo mese di gravidanza, due giorni dopo la morte del suo compagno Amedeo. Un artista cosiddetto maledetto, un grande del simbolismo ma soprattutto  della pittura impressionista”. Rimasi sbalordito da tutto ciò che Domenico mi aveva raccontato. Avevo di fronte lo spettacolo della Roma imperiale e nella mente la bella storia di Modi’, artista maledetto. Mi uscirono lacrime di commozione nel pensare che a giorni, tante di quelle emozioni sarebbero rimaste solo un ricordo. Mi volto e Domenico era davanti a me, mi teneva stretto tra lui e il muretto del balcone: “cazzo! che fai, piangi adesso?”. Non feci in tempo a rispondere, che dal fondo del loggiato la zia lo chiama per partecipare al brindisi con l’ambasciatore. Domenico mi guarda, mi prende per mano:”dai vieni anche te, poi magari andiamo via se vuoi”. Ma io preferii rimanere sul loggiato a guardare la città di notte, a cercare di  individuare tra i tetti e i campanili, i suoi monumenti principali, le cupole e le vetuste torri. Fui distratto dal fruscio di due pipistrelli in volo che si rincorrevano sotto la tettoia del loggiato con il loro spettrale gracidio. Volevo andarmene, fuggire via, non volevo più stare lì. Quell’ atmosfera mi stava deprimendo. Apro una porta e mi precipito giù per una scala a chiocciola, angusta e ripida con quei gradini che non  finivano mai. Riesco ad aprire un altra porta, una stanza priva di luce, solo dall’ esterno filtrava un flebile chiarore. Tutto intorno a me vecchie cornici di dipinti, vecchi mobili accatastati, tendaggi strappati e poi quell’ odore di antico, di legno tarlato, insomma sembrava la rimessa di un robivecchi. Erano gli scantinati del palazzo, e li ancora, volavano nell’ aria e mi sbattevano in faccia coppie di pipistrelli. Il buio si faceva sempre più intenso, ero terrorizzato, quando all’ improvviso la luce di un accendino per sigarette mi illumina il volto, poi sento la morsa di un braccio che mi blocca:” ma che fai, dove vai, perché sei finito fin quaggiù – era Domenico, che mi aveva ritrovato, dopo avermi cercato dappertutto – fifone senti come tremi”. Avevo avuto veramente tanta paura. Tutto era strano in quell’ ambiente, il palazzo, le persone e l’ atmosfera, oltre che l’ aria solcata dal continuo volo di pipistrelli. Provavo dentro me quella  sensazione di precipitare nel vuoto, mi sentivo soffocare, l’ aria iniziava ad essere pesante al tal punto da perdere i sensi. Domenico mi guardava, mi seguiva con gli occhi e non riusciva a capire cosa stava succedendo. Giravano attorno a me in un secondo gli spettri del passato, visi, volti, membra di persone rosicchiate dal vizio, anime sciupate e logore, usate e gettate via come pietre nel Tevere. Vedevo attorno tutto questo, ebbi freddo, di nuovo paura… “Ti prego, non voglio stare un altro secondo in questo luogo, andiamo, portami a casa tua, mi trattengo da te questa notte”.

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