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L’inedita alchimia di Chris Potter e Brad Mehldau nel quartetto all star. Il ricordo lontano di Gil Evans

PERUGIA – E’ un’alchimia atipica, un equilibrio sempre sul punto di essere infranto, ma costante: il quartetto di Chris Potter con Brad Mehldau al pianoforte, Jhon Patitucci al contrabbasso, Johnathan Blake alla batteria. Potter si ispira alle sue ultime composizioni, tratte quasi del tutto integralmente dall’album Eagle’s Point. Il fatto che due dei componenti del quartetto dell’album (Patitucci e Blade) venissero dalle intense esperienze con Wayne Shorter ha forse indicato al sassofonista di Chicago una possibilità tra le tante, ma non di rado Potter rievoca il lirismo del primo Shorter pur in un contesto soprattutto di hard bop. Come poi tutto questo si inneschi nel dialogo con il pianismo lunare di Mehldau, rimane il maggiore dei fattori di mistero e di sintesi unica nel prodigioso bilanciamento del quartetto, dove tutti e quattro i componenti usano un assoluto rispetto per l’altro, scevri da incursioni e da prevaricazioni. Tutto è giocato nelle forme di mezze tinte irrobustite dalla batteria concreta, ma discreta di Blake, propulsore ritmico che insieme alle raffinatezze di Patitucci, doppiano spesso le linee del piano di Mehldau. Se Umbria Jazz dovesse delimitare un perimetro del post hard bop, niente potrebbe essere paragonato alle eccellenze di questo quartetto dagli effetti di intensità e profondità. Eagle’ s Point, i punti d’aquila dei quattro musicisti stanno lassù in alto, come a potersi permettere di scrutare gli orizzonti; la vista d’aquila è infallibile da lassù e tutto appare chiaro nel Grand Canyon. Eccola l’alchimia, dall’alto delle eccellenze del jazz, tutto si dispiega in una visione più chiara, nel massimo rispetto l’uno dell’altro: tutto è pervaso da un senso ritmico assoluto dove persino le architetture sonore oblique di Mehldau appaiono in perfetta armonia con il fraseggio dirompente di Potter.

Il secondo set della serata all’arena Santa Giuliana era invece dedicato al ricordo delle indimenticabili serate nella ex chiesa di San Francesco al Prato, ora nella nuova veste di un auditorium completamente ristrutturato. Protagonista assoluto di quelle notti calde di Umbria Jazz fu Gil Evans colui che sconvolse l’organizzazione tradizionale della big band con le sue reinvenzioni armoniche. Protagonisti erano un gruppo di musicisti che ora Pete Levin ha chiamato in ordine sparso nel tentativo di rievocare quella libertà espressiva che era tipica della big band di Gil Evans. L’esperimento è riuscito a metà: evocati i ricordi, rimane il vuoto della penna di Gil Evans che traeva dall’aria le atmosfere più intense.

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