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Intervista a Gabriella Greison: la rockstar della fisica è in Umbria con lo spettacolo “La donna della bomba atomica”

In questi giorni è in Umbria Gabriella Greison, fisica, scrittrice, attrice teatrale, drammaturga, divulgatrice scientifica, giornalista e conduttrice televisiva nota anche come “la rock star della fisica” o, se preferite, “il volto rivoluzionario della scienza”. E’ in tour con lo spettacolo “La donna della bomba atomica” tratto dal suo libro.

Ieri sera era in scena ad Acquasparta nella Sala San Matteo -Ex Convento di San Francesco nell’ambito della rassegna “Note a margine, festival delle parole” in svolgimento ad Acquasparta fino al 19 maggio; e stamattina, 17 maggio, alle ore 10,30, Greison è all’Aula magna dell’IIS Gandhi di Narni.
L’occasione giusta per parlare di questo suo nuovo spettacolo e, come nostra consuetudine, di altro ancora.

– Leona Woods chi era e perché l’ha messa al centro di questa sua nuova narrazione letteraria e teatrale?
E’ stata la scienziata più giovane del Progetto Manhattan e nella mia rappresentazione teatrale parla in prima persona per raccontare di lei e del ruolo che ha assunto nell’ambito del più grande evento scientifico della storia dell’umanità: la bomba atomica. Mi sono messa nei suoi panni già dalla prima riga che ho iniziato a scrivere. Mi sono immedesimata in un personaggio perfetto per me.
– Quali similitudini ha trovato tra Leona e lei?
Era fisica nucleare come me, ambiva a lavorare in un ambiente scientifico di grande livello come ho fatto io. Lei all’interno del progetto Manhattan in America, io all’Ecole Polytechnique di Parigi.
– Percorsi a ostacoli per entrambe dato il contesto prevalentemente al maschile?
Posso dire che quella più carica e determinata tra le due era senz’altro Leona.
-E dire che anche lei non scherza riguardo a determinazione…
Eppure, quando ci penso, mi dico che mi sarei voluta comportare come lei ha fatto in situazioni difficili.

– Un esempio?
C’era un professore che faceva sempre battute maschiliste: un giorno mentre Leona era alle prese con un timer le disse che lo avrebbe dovuto usare in cucina.
– Battuta pesante…
A questa e alle altre battutacce che le sono state dette, Leona ha risposto commentando: erano solo 16 maschi, ma erano bravi. Alla fine è andata nel gruppo di ricercatori di Enrico Fermi, dove nessuno più le faceva battute. Quando rimase incinta e lo nascondeva perché temeva che ciò potesse compromettere il suo ruolo all’interno del gruppo, Fermi, l’unico che lei aveva messo al corrente, non solo le rispose che a lui questo non interessava niente, ma addirittura si mise a studiare per farla partorire lui stesso se fosse stato necessario.
– Come ha ricostruito la figura di Leona Woods?
Andando sul posto, come si usa dire nelle redazioni di cronaca dei giornali. Sono andata a Los Alamos, a Santa Fe, a Chicago, Hanford Site, a Princeton. E’ stato come se vivessi io stessa quei luoghi, quelle situazioni …
– Cosa ha scoperto di Leona Woods in America?
Che di lei non sapevano niente: né gli storici, né gli scienziati. Niente e nessuno. Poi, finalmente, nel mio girovagare, ho visto la riproduzione in scala di un omino che era Enrico Fermi, e a fianco una donna. Da quell’indizio ho iniziato a ricostruire tutto, tanto che alla fine grazie a Leona Woods ho ricomposto anche il percorso fatto dal nostro Enrico Fermi. E si tratta di materiale inedito su di lui e su sua moglie Laura. Che, tra l’altro, odiava Leona perché si era ingelosita per il fatto che i due lavoravano sempre insieme, andavano a fare sport insieme … e allora Laura era sempre lì che controllava ogni spostamento.

– Ma Leona era innamorata di Fermi?
No, assolutamente. A Leona Fermi non interessava da quel punto di vista.
– Lo spettacolo è in tour da qualche mese: qual è la frase che le piace più recitare e che il pubblico apprezza?
Quando dico “sapere poco è pericoloso, sapere molto non lo è” il pubblico esplode in un applauso liberatorio. Ed era il modo di pensare di Leona: dammi la possibilità di accedere liberamente alle informazioni, poi sta a me selezionarle e prendere quelle che più ritengo utili alla mia persona, alla mia formazione, ai miei scopi. Poi in scena funziona sempre molto quello che è diventato il mio motto che è: non stare dove o con chi non ti fa fiorire che ho messo anche sul mio sito..

– Che ne pensa, da esperta della materia, del film Oppenheimer?
La premessa è che avevo finito tutte le mie complesse ricerche su Leona e ho pensato tra me: vuoi vedere che Christopher Nolan, il regista, mi frega? Vedo l’anteprima del film e della storia della Woods non c’è la minima traccia, come del resto di nessuna delle donne che hanno lavorato al progetto Manhattan. Pazzesco.
E’ un film incentrato su Oppenheimer. Gli americani fanno sempre così: tagliano la storia su un personaggio americano e solo su quello si concentrano, esaltandolo. Secondo me è un film sopravvalutato. Oppenheimer non racconta tutta la storia della bomba atomica e sono state dette delle bugie di natura storica.
– Me ne dice una di queste bugie?
Quella in cui va da Einstein a chiedere se è giusto il calcolo. Invece Oppenheimer va da Arthur Cotton. Evidentemente Einstein era più attrattivo. L’altra cosa che mi ha dato molto fastidio è che non è presente Enrico Fermi che invece è la mente dietro la costruzione della bomba. Il regista gli concede comparsate di pochi secondi e per di più l’attore non è nemmeno italiano; indossa un giacchettino di renna corto, mentre tutti gli altri hanno giacca e cravatta. E Oppenheimer gli chiede: “ho bisogno di una pila, Enrico”. E lui: sì tieni… Ma come si fa? Ci ha messo cinque anni a costruire una pila atomica, non è una pila da nove volt!
Come darle torto? Alla prossima, Greison.

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