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Intervista a Cristiana Vaccaro stasera a Perugia con “Brutta”, graffiante monologo sul femminile

PERUGIACristiana Vaccaro si è diplomata all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma nel Duemila. Nota al grande pubblico, come si usa dire, per la serie tv “Un medico in famiglia”, è cofondatrice della Compagnia Circo Bordeaux e dell’omonima scuola insieme a Michele Riondino. Coideatrice del progetto U.G.O., punto di riferimento della scena romana per la scrittura comica delle donne, qui nasce la conoscenza-collaborazione con Giulia Blasi. Che ci porta al dunque. Stasera, 4 maggio, infatti, Cristiana Vaccaro sarà all’Auditorium San Francesco al Prato di Perugia (ore 21) per presentare il suo ultimo monologo “Brutta. Storia di un corpo come tanti” suo adattamento teatrale del successo letterario, per l’appunto, di Giulia Blasi.

 

La regia è di Francesco Zecca, aiuto regista Veronica Buccolieri; musiche originali Stefano Switala; disegno luci Rocco Giordano, produzione Do7 Factory.

Cristiana Vaccaro e il regista Francesco Zecca

Nella presentazione, si premette che si tratta di un monologo di un’ora che riflette sul femminile “senza retorica, estremamente attuale, che attraversa fino ai giorni nostri un universo caleidoscopico fatto di strade polverose anni ’70, cartoni animati anni ’80, donne-frutta e facce da stronza, di primi amori (e prime delusioni) a ritmo di successi sanremesi anni ’90”.

 

Di questo e altro, come nostra consuetudine, parliamo con Cristiana Vaccaro.
– Questa tournée con il suo nuovo spettacolo è iniziata l’8 marzo. Non per caso, sembra di capire…
Esatto, non è esattamente una data a caso.
– Nove date prima di quella di Perugia: come sta rispondendo il pubblico?
Siamo volutamente partiti in sordina, anche perché era un po’ di tempo che non andavo in scena o non portavo in giro uno spettacolo. Avevo letto il libro di Giulia Blasi e le ho chiesto di poterne fare un adattamento teatrale al quale ho lavorato per diversi mesi. Devo dire che è stata una gestazione piuttosto lunga. Quindi abbiamo iniziato a trovare le prime date e, adesso, devo dire con grande piacere che stiamo ricevendo molte richieste: ci dicono che lo spettacolo funziona. Insomma, abbiamo avuto un feedback molto positivo e quindi stiamo girando veramente tutta l’Italia dal sud al nord, da Genova e Torino a Bari e Taranto. E dopo Perugia saremo a Milano.
– Il segreto di questa accoglienza?
E’ uno spettacolo che parla soprattutto del corpo delle donne e arriva in maniera molto forte anche agli uomini.
– In cosa è consistito il suo adattamento del testo?
In qualche modo l’ho adattato a me: ho riscritto alcune parti, altre invece sono esattamente quelle del libro, però ho cercato di metterci anche del mio, anche un po’ della mia storia.
– Lei racconta di una brutta…

Vuol dirmi elegantemente che non lo sono? Guardi, quando siamo piccole con il fiocchetto rosa in testa siamo belle per tutti. Questa non necessariamente è la storia di una donna brutta, traccia il percorso di condizionamento che si attraversa dall’adolescenza in su, quando si entra in relazione con il mondo esterno.
– E dopo la bimba, comunque bella, cosa accade al contatto con l’esterno?
Che l’esterno non è stato formato, educato, costruito in altro modo che in questo. Da qui nasce la domanda di fondo: perché prima del corpo non viene considerato il pensiero delle donne? La realtà è che nessuno dice a un uomo, soprattutto se ricopre un certo ruolo, se è bello o brutto, troppo alto o troppo basso. Se è una donna, anche se non sta partecipando a un concorso di bellezz ma a uncolloquio di lavoro, viene notato e commentato l’aspetto. In un contesto come quello che viviamo così come è costruito, la donna deve essere sempre portatrice di bellezza e seduzione, pertanto deve necessariamente curarsi, essere bella o comunque più o meno consapevole che dovrà essere giudicata.
– Per questo in scena c’è un cyclette?
Più che un riferimento al doversi tenere in perfetta forma, l’abbiamo pensata come una metafora: quella del “pedalare”, attività specifica che si richiede alle donne e del fatto che fin da quando siamo piccole siamo abituate a dover sudare e faticare per ottenere le cose. L’altro concetto implicito è quello di una di ruota, come quella del criceto, del girare sempre un po’ intorno a noi stesse, quasi in una trappola.
– E qual è la vera trappola?
Il fatto che purtroppo per noi donne l’aspetto fisico conta sempre più di tutto il resto. E la storia di Giulia ci porta a riflettere su queste tematiche. A partire dal vocabolario e dalla Treccani…
– In che senso cita il vocabolario Treccani?
Nel senso che un sostantivo maschile come racchio, viene così declinato: brutto, sgraziato, detto di persona, soprattutto di donna. Brutta, racchia, cessa, chiavica, ciospa, cozza, cinghiale, scorfano, cofano, paracarro, strega, mostro, nutria… La donna brutta ha più nomi di Dio. La realtà è che la bellezza è un dovere sociale.
– E con i social la questione si complica ulteriormente soprattutto per le giovani generazioni. No?
Questa è l’epoca dell’immagine. Personalmente ritengo che di per sé i social siano una forma di grande libertà e democrazia, ci consentono di entrare in contatto con gli altri, di stabilire relazioni. Certo è che come tutte le cose occorrono regole. Per questo personalmente, dal momento che insegno tetaro e che sto a contatto con le nuove generazioni, ritengo sia importantissimo formare, educare, insegnare finalmente con serietà e competenza l’educazione sessuale, l’educazione civica. La realtà, però, è che si stanno addirittura facendo passi indietro da parte di chi ci governa e che ora siamo costretti perfino a difendere diritti acquisiti a tutela delle donne.
– C’è una frase in particolare dello spettacolo che le piace recitare?
A parte il divertimento di sciorinare sostantivi e aggettivi che ci riguardano, pongo un quesito: dobbiamo risolvere un’equazione fondamentale, volerci bene col trovarci belle perché ci sembra impossibile amarci per come ci sentiamo.
– Un commento che ha particolarmente gradito terminato lo spettacolo?
A Taranto. C’era in teatro una scolaresca attorno ai 16 anni. Una ragazza è venuta da me e mi ha abbracciato confessandomi che si rivedeva in quelle esperienze che racconto e subito atti di bullismo davvero pesanti. Si era sentita capita, si era rispecchiata in alcune parole e si è sentita meno sola. Mi ha ringraziato per questo. E’ stato un momento molto bello, emozionante e che mi ha davvero toccato.
– Tormentone finale: un aggettivo per ciascuna delle arti in cui si espressa in carriera: tv, cinema teatro. Per lei la tv è?
Popolare.
– Il cinema?
Evasione.
– Il teatro?
Poesia.

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Il tour porta Cristiana Vaccaro stasera alle ore 21 all’auditorium San Francesco al Prato di Perugia fa parte delle iniziative all’interno del format “Artemisia donne di scena” della stagione Sanfra di Mea Concerti in collaborazione con il Comune di Perugia. Biglietto: posto unico 15 euro.

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