TERNI – Si parla così spesso di bene comune che a volte ci si dimentica di chi ne è l’artefice. Ovvero delle persone per bene. Ieri al PalaSì di Terni, la presentazione dell’ultimo progetto letterario e non solo, di Sauro Pellerucci, ha offerto una preziosa occasione per riflettere sull’umanità che consapevolmente sceglie ogni giorno di operare nel bene.
Il mondo delle persone per bene, è un saggio – ieri se ne è parlato in anteprima nazionale – che parte dall’esperienza umana e imprenditoriale di Pellerucci, fondatore di PagineSì Spa, un’azienda la cui attenzione verso la responsabilità sociale d’impresa rappresenta a pieno titolo una buona pratica.
Ma chi sono le persone per bene? “Le persone per bene sono la maggior parte dei nostri concittadini, che riescono a riconoscere il bene nel mondo e negli altri” ha raccontato Pellerucci, il problema è che spesso non vengono riconosciute. Nell’introduzione che ieri Marco Sciarrini ha dedicato all’argomento, è stato sottolineato come da più parti sia in atto nella nostra società un necessario cambio di paradigma della convivenza civile, che passi attraverso una rieducazione al riconoscimento del bene negli altri. E proprio il confronto con l’alterità, è il banco di prova dove poter affinare la capacità resiliente di operare al meglio.
A moderare l’incontro, Andrea Giuli, che non ha mancato di far notare come parlare di persone per bene possa apparire oggi un po’ fuori moda. “Vedo ovunque persone per bene e forse la narrazione che facciamo del nostro mondo, è un po’ peggiore di quanto non sia in realtà” ha sottolineato Pellerucci.
Essere per bene è diverso dall’essere perbenisti, pone piuttosto l’accento su quella forma di equilibrio in grado di produrre sostenibilità, sia in ambito relazionale che ambientale e, ovviamente, anche imprenditoriale. “Perché il mondo dell’impresa deve poter creare benessere, per sé e per gli altri” ha proseguito l’autore.
In un mondo dove sono i consumi a stabilire il grado di benessere di una società, parlare di una maggioranza silenziosa che guarda al bene, impara e trae beneficio degli errori, potrebbe sembrare un orizzonte utopistico. Eppure, in questo progetto non c’è utopia, semmai “una presa di coscienza” conclude Pellerucci.