L’ulteriore opportunità di questa intervista a Maria Anna Stella, attrice-autrice teatrale umbra di grande spessore e con enormi motivazioni che vanno oltre la scena, sta nel contesto: il Cut, Centro Universitario teatrale di Perugia ETS, con i suoi sessant’anni di storia.
Qui le parole prendono senso proprio e anche grazie al luogo che conserva sulle pareti locandine di spettacoli coraggiosi, convenzionalmente, d’avanguardia. Nelle fotografie di registi, veri insegnamenti, convenzionalmente, maestri. Negli oggetti dismessi (momentaneamente, chissà), progettualità, convenzionalmente scenografie. E’, insomma, visibile la storia, convenzionalmente racchiusa in una sigla di tre lettere che si sono declinate in tutte quelle contenibili in più alfabeti.
Maria Anna Stella ci apre la porta di questa casa di un particolarissimo teatro in Piazza del Drago numero 1, a Perugia. Non per niente è attigua, per meglio dire inglobata, a una scuola: la primaria Ariodante Fabretti. Del resto il CUT nasce nel 1963 e dal 1985, sotto la direzione di Roberto Ruggieri, da è diventato il centro alternativo di pedagogia e di ricerca teatrale e, dal 1989, ha dato vita all’attività di alta formazione professionale di attori.
Fa un certo effetto, Maria Anna Stella, entrare qui…
“Continua a fare effetto anche a me. Si respira l’intensità di insegnamenti con un loro fine, con uno scopo. Basti dire che grazie all’opera costante di Roberto Ruggieri, per oltre 20 anni, ha organizzato con Università di Perugia e A.Di.S.U., corsi gratuiti di educazione e formazione propedeutica teatrale rivolti agli studenti dell’ateneo con numeri ragguardevoli, oltre 250 ogni anno. Non solo. Nel 2005 il CUT assieme allo Stabile dell’Umbria, ha promosso con una équipe di psichiatri umbri e l’Odin Teatret di Eugenio Barba, il progetto triennale ‘Verso una compagnia teatrale atipica’ offrendo formazione teatrale a soggetti in trattamento per problematiche psichiche”.
Su questa strada si è indirizzato il suo essere attrice-autrice che guarda agli altri che assimila, ne interpreta le storie portando quello che, senza usurpare sostantivi abusati, si chiama teatro sociale. Mi viene in mente Terrae Motus…
“Il mio percorso iniziale attoriale e, soprattutto, di scrittura, parte grazie a un costante confronto e incontro con il maestro Roberto Ruggieri. Questo mi ha portato a interessarmi a un certo modo di esprimermi. Per certi versi lo definirei esclusivo, non nell’accezione mondana del termine, ma nel modo di intendere il contatto essenziale con la gente, con le sue urgenze, le sue sofferenze, ma anche i suoi sogni, come linfa vitale per un certo modo di fare teatro”.
C0n Terrae Motus erano paure, sofferenze ma anche divertenti e ironiche saggezze di popolo.
“E’ l’altra faccia del dramma, è il percorso della vita che ci mette sull’orlo del baratro ma ci fornisce insperate corde per risalire”.
Dopo i terremotati, gli anziani e il suo spettacolo “Vecchi si nasce e io modestamente…”. Durante il Covid lei lo ha portato nelle RSA, residenze sanitarie assistenziali dell’Umbria. Ci racconta questa esperienza?
“Serve una premessa: il CUT, in questi casi specifici io, portiamo il teatro laddove serve, dove può assolvere a una sua funzione culturale e sociale. Con Terrae Motus il contatto preliminare è stato con l’ASL Umbria 2. L’intento è stato quello di portare il teatro a domicilio, nelle casette di legno di Norcia. Coerentemente, con ‘Vecchi si nasce’, l’intesa con Fondazione Perugia e il tramite dell’assessore Leonardo Varasano per il Comune di Perugia, lo scopo è stato quello di entrare nel periodo buio del Covid, nelle case di riposo e cura degli anziani anche grazie ai Fondi della Regione Umbria per gli spettacoli dal vivo”.
Lei cosa ha fatto e fa, in concreto, oltre a recitare?
“Lo dico anche nella performance ‘Io mica faccio l’attrice, mica recito!’. Ascolto e dialogo. Pratica su cui si incentra la mia scrittura frutto di indagini sulla vecchiaia interiore e sui racconti che mi vengono fatti. Il testo si modifica a contatto con chi ne è protagonista, con chi ho davanti in quel momento”.
Il teatro nel teatro?
“Sì, se vogliamo”.
Mi pare poco convinta…
“Non vorrei apparire presuntuosa. Assolvo a una missione nella quale credo molto che è quella del CUT: : il teatro come mezzo, come strumento, non come fine. E allora capita che durante lo spettacolo, in diretta, c’è chi dice la sua, chi vuol esprimere ciò che sente: persino chi, quando è nelle condizioni di farlo, si alza per venire a ballare un valzer o una mazurka o si mette a fare il coro mentre canto. Si tratta, voglio dire, di un teatro nel teatro, certamente, ma ogni volta realmente diverso e che prende forma a prescindere persino da me in qualche circostanza. Un teatro vivo e vitale per e grazie a questo tipo di pubblico”.
La fa pensare a quello che sarà il suo essere anziana?
“Il nostro è un teatro estremo, Roberto Ruggieri lo ha definito un atto di confessione spirituale. La mia è una scrittura di scena della quale mi nutro. E che, in scena, mi emoziona”.