PERUGIA – Conosco Alberto da tempi immemori, circa 35 anni. Erano da poco terminati gli anni Settanta e la grande abbuffata di creatività che quell’irripetibile era aveva dato in pasto soprattutto ai giovani. Tutti i codici e i canoni furono rimessi in discussione e si aprirono come d’incanto nuove prospettive e scoperte nuove frontiere soprattutto scaturite dall’incontro tra rock e jazz, tra jazz e pop, progressive e blues e molto altro. Chi rimase folgorato da quell’ondata che investì più o meno potentemente tutti, rimase anche irrimediabilmente ancorato al potere della musica, alle sue evocazioni, alle emozioni che soltanto l’arte più eterea e volubile che esista sa produrre. Io avevo accumulato nel frattempo qualche piccola esperienza da musicista, mi approcciai con impegno alla tromba e al sassofono, ma la strada era lunghissima e faticosa e per di più ero anche fresco di studi di giornalismo. Mi trovai di fronte alla scelta più difficile della mia vita: o continuare gli studi musicali seriamente, più di quanto avessi fatto fino a quel momento, o tentare di introdurmi nel mondo, altrettanto affascinante della parola scritta con il giornalismo. Ricordo che feci un grande sforzo di coraggio nell’approccio con un mondo sconosciuto, dove tutto era da imparare inserendomi progressivamente nei meccanismi redazionali, nella macchina del giornale ai tempi ancora rigorosamente prodotto cartaceo. Ma la musica mi rimase nel cuore tanto che non la abbandonai completamente, anche se l’approccio diventò completamente diverso: cominciai a tentare di fermare con le parole quel che è sfuggente per definizione: la musica appunto. Un lavoro quasi contro natura, forse è per questo che i critici musicali sono amati e odiati allo stesso tempo. Anche Alberto, da sempre raffinato teorico della musica, spesso forniva al giornale sue recensioni e commenti che tra l’altro leggevo e divoravo con molta curiosità. Poi qualche anno più tardi ci trovammo schierati su barricate opposte, lui che aveva abbandonato la penna per intraprendere definitivamente la strada delle bacchette, dei rullanti e dei tom, io che spesso mi trovai a scrivere di lui. Fino all’oggi in cui ci si ritrova insieme ancora a fare i conti entrambi con la parola scritta e con una lunga serie di riflessioni sulla musica e sull’essere musicista che rinverdisce antiche affinità e idee condivise. Mai come oggi, a conclusione di un ciclo di decine di anni, Alberto con questo libro ha rivelato fatti e questioni che per me sono stati soltanto sfiorati nel redigere i miei articoli e mai come oggi queste rivelazioni credo siano utili per formare una propria personalità artistico-musicale. Io ho tentato nel corso di questi anni di definire, indicare, indirizzare, non sempre riuscendoci il gusto, il mood, l’essenza di quel che a me è sembrato demarcare il limite tra buona e cattiva musica. Alberto con il suo libro Lo zen e il tiro della batteria c’è riuscito in una sola volta fornendo una serie di riflessioni che indicano la strada a chi della musica fa la propria mission.