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Un viaggio tra stoffe e colori nella mostra “Trame” di Chigusa Kuraishi

PERUGIA – Il suo nome significa “mille semi”, nelle sue opere e nelle sue parole, tutto il fascino e l’eleganza del paese del Sol Levante.

È Chigusa Kuraishi, artista giapponese originaria di Nagano, che vive in Umbria dal 1990, le cui opere sono esposte dal 7 al 29 maggio nello spazio espositivo dell’ex Chiesa della Misericordia in via Oberdan a Perugia.

 

Trame”, questo il titolo della mostra, è un connubio particolare che unisce le opere pittoriche di Chigusa insieme ad un’esposizione di kimono provenienti dalla sua collezione di famiglia.

Un viaggio tra stoffe e colori che vede intersecarsi le pennellate dei dipinti ai ricami dei kimono, in quella che il critico d’arte Davide Silvioli ha definito “una relazione estetica tra queste due categorie – pittura e tessitura – tradizionalmente mantenute separate” attraverso il modo di intendere la pittura di Chigusa che “svela assonanze, più o meno manifeste, con gli spartiti di forme e colori che permeano le superfici degli indumenti”.

Nell’accostare queste vesti tradizionali alla sua pittura c’è anche la volontà dell’artista di portare nel mondo parte della sua tradizione e della sua storia personale.

Dalla sua bisnonna, una donna che vestiva solo con questo capo d’abbigliamento e che nel 1800 aveva un suo allevamento di bachi da seta per i kimono, al nonno professore e designer industriale, la storia di Chigusa si snoda poi attraverso ricordi di quando, all’età di 5 anni “mia madre mi portava da una maestra di pittura dove ho imparato a disegnare con la matita e ad acquerello”, poi da un maestro calligrafo per imparare la calligrafia con l’inchiostro giapponese Sumi e poi a dipingere ad olio.

Ho sempre sentito la pittura” racconta “come una consolazione e come una preghiera. Il significato della pittura oggi invece assume il senso di un labirinto, da dove per uscirne, cerco di seguire gli insegnamenti e i consigli di importanti pensatori, filosofi, musicisti, poeti, scrittori. Ma oltre ai loro insegnamenti credo che occorra soprattutto conoscere se stessi e fare ognuno la propria strada”.

Una strada che la porta al 1986, quando si laurea all’università d’arte Musashino di Tokyo e alla  specializzazione in seguito in textile design.

Inizia poi a lavorare per una grande azienda tessile giapponese come progettista designer per abiti.

Però la mia mente vagava e nutrivo una grande curiosità e ammirazione per l’Europa, la Francia e l’Italia in particolare. Sono quindi venuta a Perugia per studiare la lingua e la cultura italiana e poi mi sono stabilita.

Amo l’Italia e amo Perugia, l’Italia dovrebbe migliorarsi a livello organizzativo, per modernizzare e rendere più equo il proprio sistema sociale ma mi considero fortunata a vivere qui dove mi sento più libera e meno condizionata che in Giappone. Mi trovo in un ambiente naturale che mi dà tranquillità per vivere meglio dal punto di vista umano, anche se non è facile in questa fase di pandemia globale.

L’Italia è bella, ha una grande storia di arte e cultura, mi affascina il mistero e la grandezza di Leonardo da Vinci e amo Piero della Francesca. Quando ho visto per la prima volta al Tokyo Metropolitan Art Museum il suo San Giuliano, ho provato una vera sindrome di Stendhal… Mi batteva forte il cuore e sono scoppiata a piangere.”

Nelle opere di Chigusa quello che colpisce è l’uso del colore, pennellate veloci, dense o sottili, colori che si intersecano, si rincorrono, si sovrappongono. Fra tutti, uno che spicca di più: è il blu indaco, con il quale l’artista ha un rapporto speciale: “sono cresciuta in una casa in cui venivano utilizzati come separé dei tessuti azzurro indaco, i bicchieri Edo Kirico di colore blu e i piatti con decorazioni celesti. Il blu viene dal più profondo del mio cuore, cielo e mare: il colore fondamentale della vita.

Per dipingere mi piace molto utilizzare i pigmenti naturali oltre alla tempera. Uso anche l’acrilico ma non lo amo perché è una cosa chimica: ecco perché questo è il terzo anno che con la mia coltivazione di piante di indaco ricavo il colore per le tinture”.

L’indaco naturale infatti, si estrae dalle foglie di Indaco Tinctoria, una pianta appartenente al genere Indigofera, che cresce spontaneamente in paesi tropicali ed è comune in paesi come l’India, la Cina, il Giappone, l’America meridionale e l’Africa.

Pigmento antichissimo, noto in Asia già 4000 anni fa e conosciuto in Europa dopo che Marco Polo lo riportò dai suoi viaggi in Oriente, è di un azzurro brillante e resistente nel tempo.

Attualmente la produzione di indaco naturale in Europa è stata sostituita completamente da quella chimica ma ci sono persone come Chigusa che si impegnano affinché questa tradizione non vada persa. “Vedo nell’utilizzo di questa pianta anche un filo conduttore che unisce Oriente e Occidente, Giappone e Italia, dove nel 1400 c’era una grande produzione tessile che utilizzava questa pianta per tingere i tessuti. Ho scoperto che lo stesso Leonardo dipinse un’Ultima Cena con una tovaglia bianca bordata di colore indaco.
Ci vuole molto tempo per fare questo genere di produzione artigianale ma mi sento come in una seconda fase della mia vita e voglio approfondire la tecnica di coltivazione e lavorazione dei semi di indaco per ottenere la stessa tintura che utilizzavo quando ero in Giappone, ritrovando un po’ le mie radici”.

 

Ci sono anche altri progetti in cantiere, una mostra in Giappone e la voglia di rivedere il suo paese dopo questi anni di chiusure.

Per il momento la mostra è aperta fino al 29 maggio dalle 10 alle 20.

 

Per informazioni www.chigusakuraishi.com

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