SPOLETO – Nel pomeriggio di ieri, venerdì 31 maggio, si è tenuto all’Albornoz Palace Hotel di Spoleto il convegno dedicato ai diritti umani, organizzato e fortemente voluto dalle associazioni del territorio: Città Nuova, Ora Spoleto, A sinistra per Spoleto, Ass. Cristian Panetto, Cittadinanzattiva, dal Comitato per conoscere e diffondere la Costituzione, dal Coordinamento per i migranti, dal Coordinamento Democrazia Costituzionale, da Donne contro la guerra, da Legambiente, da Libera e dallo Spi-Cgil di Spoleto. A Dores Mattioli del Coordinamento per la difesa della Costituzione il compito di presentare l’idea, un collettivo che sappia coordinarsi in base ad una sana informazione e conoscenza, la voce del dissenso contro le politiche messe in atto sull’immigrazione a partire da una partecipazione che, parafrasando Giorgio Gaber, parta dal basso e dalla libertà di ognuno. Diritti umani, pace, ambiente, futuro. A portare il saluto istituzionale ad una platea attenta e interessata c’era la Vicesindaco Beatrice Montioni che ha voluto supportare la causa con la sua presenza fisica volta a creare una rete con progetti che siano sempre più legati all’autonomia e sottolineando con orgoglio che Spoleto, una delle sedi Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), “mira e vuole continuare ad accogliere”>.
A parlare di una cultura della memoria per non dimenticare è seguita la testimonianza diretta di Gian Paolo Loreti, presidente dell’A.N.P.I. Spoleto, un giovane partigiano di 97 anni che ha ripercorso la cronaca di una storia che fu e che non si è ancora estinta, poi rivolgendosi ai giovani con un filo di voce ha detto: “Amate questa democrazia di qualunque schieramento politico che vi permette di andare a votare liberamente”>.
Risuonano in sala analogie che riportano alla Grande Guerra, spesso si fa riferimento al linguaggio usato dal ministro dell’Interno Matteo Salvini per spiegare l’esistenza e la giustificazione di talune formazioni di odio, in genere contro l’integrazione e contro i valori dell’uguaglianza strappati alla Costituzione. Con la moderazione del giornalista Fabrizio Ricci, in ordine di apparizione sono intervenuti Rossella Muroni in collegamento via skype, parlamentare (Leu) e garante della nave Mediterranea-Mare Ionio, Riccardo Travaglini, sindaco di Castelnuovo di Porto, Vittorio Cogliati Dezza, responsabile nazionale migrazioni di Legambiente e Carla Erbaioli, ostetrica e volontaria in Africa. Proprio la Muroni, mentre ricordava la reazione civile che ebbe nel gennaio scorso a Castelnuovo di Porto bloccando i pullman con i migranti in partenza, a chiedersi: “Possiamo consentire che il nostro Paese sia così impreparato a prendersi cura del migrante come di chiunque altro?”, aprendo così una riflessione più ampia che arriva alle considerazioni storiche e identitarie della senatrice a vita Liliana Segre, alle perplessità sul Decreto Sicurezza che non è chiaro in quale modo dovrebbe garantire protezione pubblica limitando di fatto quella altrui (del migrante in questo caso). Ma forse anche la classificazione di “immigrato” rende tutto più complicato e andrebbe estirpata dal suo significato che oggi, perdendo in contenuto, separa. È il sindaco Travaglini a porre l’accento su una questione determinante: “La riforma italiana più impellente è quella della formazione dei cittadini. La centralità è la cultura, è l’istruzione” perché la cultura si sporge sull’uguaglianza e insegna all’accoglienza come concluderà la dottoressa Erbaioli.
Due file davanti a dove mi trovavo seduta una signora dai capelli bianchi, mentre il sindaco di Castelnuovo di Porto parlava di arricchimento, di contaminazione positiva e di testimonianze, con solerte spontaneità metteva il braccio intorno al collo di un ragazzo africano, come per dargli forza. Lui veniva dallo Sprar di Spoleto, quello a cui si riferiva la vicesindaco nel suo discorso di accoglienza. Quel gesto è sinonimo di vicinanza, proprio perché come diceva Travaglini “la cosa che fa più paura è il silenzio” e non l’azione, non il pensiero.
La stessa vicinanza che forse avrebbe voluto sentire un ragazzo intervenuto al tavolo poco dopo: 23 anni, del Gambia, arrestato nel suo paese per aver parlato di libertà nel giornalismo e libertà di espressione, torturato per ottenere informazioni, creduto una spia della dittatura, poi scappato e arrivato in Italia, prima a Crotone e poi a Perugia, all’interno di un progetto di accoglienza e integrazione. È intervenuto per sottolineare al pubblico, a noi in sala, la sua gioia per essere presente e per avere la possibilità di raccontare i motivi per cui ha dovuto lasciare la sua terra, ed ora che a Perugia può usare la sua esperienza aiutando altri che stanno passando quello che lui ha faticosamente cercato di superare, lì lui media e facilita la comprensione di tutti dando una speranza di futuro.