TERNI – Alla vigilia dell’8 marzo, mi siedo con Sara Costanzi, Francesca Ascione e Silvia Imperi per parlare del loro ABC Donna, il nuovo progetto di Roumba – Pane&Cultura: un abbecedario dove ad ogni lettera dell’alfabeto italiano corrisponde un’opera d’arte, cartoline che ritraggono le pin-up degli anni ’50, incastonate e ricamate dentro ai simboli che troppo riduttivamente identificano una donna. Le illustrazioni sono di Francesca Ascione, i testi di Sara Costanzi e il contributo è di Silvia Imperi.
Non è poi così banale parlare di donna in occasione della Festa delle Donne, perché spesso la banalità è tale quando serve ripetere quel messaggio tante volte. Per citare Sara, siamo ancora fan della scoperta dell’acqua calda.
Piuttosto, la giornata di oggi non può essere sprecata: si deve evitare che l’8 marzo diventi ogni volta una grande pantomima priva di significato e che riduca la sua importanza a mera ricorrenza plastica.
Parliamo di ABC Donna, quali sono le origini di questo libro?
SARA: È nato alla fine del 2020. Ho lanciato il mio progetto artistico Roumba – Pane&Cultura, una roulotte culturale, promuovendo un’artista bolognese Rebecca Sforzani. Il progetto Roumba ha preso questa fisionomia tutta al femminile, anche perché dietro le quinte effettivamente siamo tutte donne, difatti mi è venuta in mente Francesca perché anche lei lavora molto sul tema. Lei ha una delicatezza, una capacità di entrare a fondo nelle cose che a me piace molto; perciò, ci siamo ritrovate sul progetto sin da subito. ABC Donna era già pronto per marzo 2021, ma con la pandemia abbiamo dovuto rimandare. Successivamente, in qualche modo, l’idea si è trasformata in qualcosa di più, grazie all’interesse alla pubblicazione dimostrato dall’editore Bertoni. Abbiamo quindi messo in un libro le cartoline frutto di una nostra collaborazione: Francesca ha fatto il visual, io ho fatto la ricerca sul linguaggio.
L’idea parte da lontano, perché volevo proprio che ogni mostra di Roumba fosse dedicata all’ABC, ovvero dalle basi del linguaggio. ABC Donna raccoglie 21 cartoline che giocano con gli stereotipi di genere, i quali vengono innescati dal linguaggio attraverso terminologie che usiamo continuamente, sia uomini che donne, senza nemmeno rendercene conto.
Francesca ha avuto l’idea della pin-up, le cosiddette donne da appendere e da lì ha poi aggiunto una serie di emoji che rappresentano un’incomunicabilità di fondo. Queste piccole vignette non hanno fatto altro che sostituirsi a una serie di espressioni linguistiche, andando a compensare qualcosa. L’emoji è approssimativa, un’immagine che può essere tutto, soggetta a tante interpretazioni.
Tutto ciò è stato messo insieme attraverso un gesto, quello del cucire, che proprio per la sua lentezza, per la sua attenzione ai dettagli, si distacca molto dalla realtà del quotidiano in cui siamo immersi.
Si è poi inserita Silvia, che lavora anche lei molto sul femminile. Roumba è nato con lei, all’epoca mi disse “è totalmente folle che potrebbe funzionare”. Con lei abbiamo anche vinto un bando del Comune grazie ad un progetto presentato il 25 novembre 2021 realizzando una versione indoor della roulotte in ferro (una sua versione slim) e che abbiamo portato all’interno della Biblioteca Comunale di Terni per esporre le opere di Francesca.
SILVIA: Mi sono avvicinata al progetto, oltre che per la stima che nutro nei confronti delle mie due colleghe, anche perché Sara aveva trovato una chiave interessante per arrivare in maniera trasversale a tantissime generazioni: quella del gioco.
Lavorando con i bambini, ho pensato che potesse essere qualcosa su cui potevo dare una mano. È stata Sara a suggerirmi di essere presente durante le presentazioni del libro e di giocare con il pubblico, teatralmente, sotto la guida delle parole che i giovani ragazzi scelgono di volta in volta. Sara ha scelto le parole, Francesca ha dato tutto il simbolismo. È un abbinamento che permette la teatralizzazione.
Per ogni cartolina, stampati sul retro ci sono una serie di complimenti femminili stereotipati, un retaggio del patriarcato che ancora nel 2021, rigurgita. “No critike, solo complimenti” del sottotitolo a questo si riferisce, facendo il verso a un’espressione ormai consueta che gira su certi canali social. Il gioco, che nasce da questo lavoro, ci è sembrato lo strumento più adatto a innescare una revisione dei meccanismi che più o meno consapevolmente, plasmano il linguaggio.
Abbiamo citato la fantastica roulotte Arca vintage del ’78 di Roumba. È nato prima l’uovo o la gallina?
Tutto è partito tutto dalla roulotte: vivendo certi ambienti mi sono resa conto che la carenza di spazi è coessenziale alla cultura. Volevo uno spazio che fosse un non luogo, che fosse ispirato alle tradizioni di una volta, le camere delle meraviglie; una wunderkammer dove entri ed è tutto splendido. Grazie alla roulotte di Roumba abbiamo vinto anche Ternivisione 2020.
L’ironia femminile di ABC Donna sta proprio nel fatto che le autrici fanno un po’ il verso all’immagine stereotipata di loro stesse. L’ironia pensate sia lo strumento migliore affinché il messaggio sia efficace nei confronti di tutti i lettori, uomini e donne, scongiurando l’effetto dell’auto-ghettizzazione?
FRANCESCA: Penso che la vena ironica sia alla base del progetto, non è un caso che domani siamo all’interno di una scuola e parliamo ai giovani, perché quello che vorremo è che il messaggio di ABC Donna si diffonda tra quel tipo di pubblico. Vorremo che si rompano gli schemi in cui sono ingabbiati, soprattutto gli adolescenti che prima di essere persone sono ormai dei consumer. Lo vedo con i miei figli, si identificano con quello che mettono, che vestono. Perciò la donna che diventa l’oggetto stesso che acquista, non è più la donna oggetto ma anzi è la donna che si trova nell’oggetto.
Le emoji che spersonalizzano anche la sfera emotiva di una persona raccontano quella che è la cultura pop-art dei tempi di oggi, una cultura allegra colorata, ma con una società che nel frattempo è peggiorata.
Perché pensi si sia aggravata?
FRANCESCA: Perché c’è una commercializzazione estrema delle emozioni, delle relazioni…passa tutto attraverso un filtro consumistico.
A proposito di immagini, la pin up rappresenta il simbolo della donna vista (e desiderata) dagli occhi di un uomo.
FRANCESCA: L’ABC partiva da degli oggetti, ma come caricarli di significato? All’inizio abbiamo pensato a qualcosa di molto personale, come le foto in bianco e nero di donne della nostra famiglia, ma sarebbe stato un lavoro troppo delicato perché noi, comunque, volevamo rompere in maniera sfacciata, così abbiamo cercato qualcosa che fosse riconoscibile da tutti. La pin-up in questo senso rimane rispetto all’immagine della donna qualcosa che fa sorridere, sono comunque deliziose.
Sara, c’è stata un’importante ricerca sul linguaggio. Spiegaci meglio il lavoro fatto.
SARA: I ragazzi e le ragazze oltre che vittime di uno stereotipismo dilagante, sono vittime anche di un grande impoverimento del linguaggio. Parlare male significa anche ragionare e vivere male: è fondamentale conoscere le parole, avere una proprietà di linguaggio perché questo ti permette di avere una comprensione del testo, che non è solo quello letterario, ma è il mondo, la vita. Se tu non sai interpretare i segnali che ti arrivano diventi ultimo, uomo o donna che tu sia.
Le donne sono storicamente svantaggiate, per tutti i motivi che già sappiamo, perché guadagniamo meno, perché viviamo in uno schema sociale di cura qualitativamente e quantitativamente più importante rispetto agli uomini.
La questione di genere ancora esiste, non possiamo far finta che ciò non sia vero. E finché c’è, noi ci dobbiamo lavorare, ci dobbiamo impegnare, partendo dalle basi, appunto dall’ABC.
A che punto siamo con l’identità della donna che emerge tutti i giorni dai nostri schermi?
SARA: La sensazione che ho rispetto a questo è che si avverte una sorta di liquefazione…nel senso che viviamo in un momento in cui c’è tutto, c’è la pin-up, gli artisti che lavorano con il corpo, c’è il pudore, ma c’è anche la nudità sfacciata. Molto di questo dipende da noi stesse e da come viviamo il femminile. Perché è possibile scegliere tra tutto questo ogni giorno.
FRANCESCA: A me ha colpito leggere ultimamente che le donne ci mettono una media di 20 minuti per curarsi prima di uscire. Che è qualcosa che, sì, fanno per loro, ma è anche qualcosa che fanno per farsi accettare. Quando la donna esce di casa vuole rientrare in uno dei tanti schemi che la società accetta, i quali oggi fortunatamente si sono moltiplicati, ma restano comunque dei parametri in cui deve incardinarsi.
SILVIA: La risposta è articolata. Quello che emerge dai social e dalle tv non aiuta né le nuove né le vecchie generazioni, perché non aiuta a ritrovarsi, anzi, semmai crea una frattura ancora più ampia con la generazione che ha lottato ai fini della de-oggettivizzazione. Ovviamente il mondo dei social come Tik Tok, sta delineando un’immagine della donna non stereotipata, bensì dequalificata. E di chi è la responsabilità? Anche delle donne, perché in prima istanza non si pongono come artefici di un destino che dipende anche da loro e dal loro modo di essere, di raccontarsi. Perché non è sbagliato del tutto oggettivizzarsi, infatti ciò può significare anche diventare un simbolo linguistico, letterario e artistico, ed è effettivamente un’operazione che molte donne nell’arte hanno fatto e che in questo momento, anzi,
attraverso i social e la tv potrebbe essere portato come esempio positivo.
Grandissima responsabilità è anche di chi gestisce i media, perché tende a raccontare prevalentemente un marginale tipo di quel mondo che è il femminile che invece sta ancora cercando di delinearsi un proprio protagonismo. E lo fa con un modo tutto suo, in un delicato equilibrio tra ironia, poesia e vissuto personale.
I social aiutano a farsi delle domande, è vero, ma c’è bisogno poi di un gruppo, fuori dai contesti ufficiali (dalla scuola, dalla famiglia ad esempio) dove si possa creare il dialogo, il confronto. L’evento di oggi è sicuramente un tentativo di muoversi in un momento e in uno spazio ufficiale, però facendo circuitare un messaggio, grazie alle parole di Sara e ai disegni di Francesca, in un modo non ufficiale. La non ufficialità secondo noi è la chiave di come si può arrivare attraverso l’imprevisto e l’imprevedibile a generazioni così trasversali, che nemmeno noi ancora sappiamo definire.
Come incide, in base alla vostra esperienza, la collaborazione tra donne quando si parla di donna.
SARA: Io penso sia fondamentale che le donne creino rete. Penso che sia tanto semplice quanto difficile perché non è scontato. Non sempre le donne sono amiche delle donne ma quando ci riescono, lì nasce una magia, una forza potente. Io e Francesca lavoriamo molto con il femminile, per cui abbiamo avuto modo di vederlo sulla nostra pelle e tanti dubbi, difficoltà li abbiamo superati insieme. È un lavoro costante, perché la solidarietà femminile è tanto abusata a parole quanto poco applicata nella realtà, eppure le rare volte che ciò accade è autentica, è indissolubile, invincibile.
FRANCESCA: Sono d’accordo. Mi sento di dire che la fiducia che ripongo in persone come Sara è una fiducia che difficilmente la ritrovo appieno con gli uomini. Ci affidiamo completamente al lavoro dell’altra quando ci dividiamo i compiti.
Francesca te hai collaborato anche con la Casa Delle Donne di Terni, vero?
FRANCESCA: Sì, in diverse occasioni e ho anche pubblicato con Bertone Editore altri libri che trattano il tema della violenza sulle donne come “#UMBRA-10 donne eccellenti”.
Silvia, te che lavori con i giovani ragazzi, quale pensi sia lo strumento migliore per fare arrivare a loro il sempre attualissimo messaggio della parità di genere?
SILVIA: Lavorare con gli adolescenti, anche in occasione del 25 novembre, mi ha fatto capire che le ragazze hanno bisogno di avere accanto il loro compagno e che il messaggio venga portato in egual modo da uomini e donne. Le ragazze considerano i loro compagni parte del messaggio, anzi, tendono a non riconoscere qualora l’attività di tutela del femminile, nelle feste dedicate al femminile, venga raccontata unicamente da donne. Vogliono essere presenti, per raccontare la diversità come occasione e per dare voce a quella che sempre è stata e sarà il punto nodale di quello che la storia delle donne racconta, cioè, un altro punto di vista. Ogni volta che si parla di un altro punto di vista, gli uomini e le donne si ritrovano insieme.
I bambini e le bambine più piccole li faccio molto lavorare con i ruoli che nell’immaginario collettivo sono affidati ad un genere e all’altro. I bambini in questo si trovano molto bene a giocarci. E non è una questione di uomo o donna, si tratta semmai di compiti che sono stati storicamente assegnati a uomini o donne.
Rileggendo le parole rilasciate ieri sera da Sara, Francesca e Silvia mi risuonano quelle del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di questa mattina in occasione della celebrazione al Quirinale della Giornata Internazionale della Donna: “il seme della libertà gettato della donna ha una forza irresistibile”.
Buon 8 marzo a tutte.